il secondo non me lo ricordo tanto, sapeva di ripiego. e di ripiego ti va bene tutto, tutto quello che c’è nel frigo, nella credenza, sul tavolo. non si fa mica distinzione, con un ripiego.
il terzo sì. il terzo me lo ricordo e sono passati venti anni.
venti anni proprio ieri. era un salame di norcia, e senza doppio senso. era un prosciutto prezioso tagliato a mano. un coscio di capriolo, una lonza ai grani di pepe rosa.
era attento e sveglio, era vellutato e buono da mordere, non si stancava mai, ma era sempre uguale. ed era ricco. troppo ricco per me. mi faceva indigestione: avevo sempre sete.
una volta mi corresse un congiuntivo. io non sbaglio mai, con le parole. e se sbaglio è perché sono confusa e felice. non lo capì. giocava e poi si addormentava dimenticando gli occhiali in un angolo del letto. io li spostavo per non farli cadere giù, per non farli schiacciare, perché non si facesse male.
invece io non mi addormentavo mai. perché avevo ancora fame, con tutta l’indigestione.
allora andavo in cucina: nel suo frigo c’era sempre un pacco di affettati tagliati a mano, una di quelle confezioni lussuose di carta ecologica con il nome di un posto elegante dove comprare cibo elegante. delikatessen, boutique del palato.
anche troppo, per una come me.
mangiavo velocemente con una fame antica come mia madre. con le mani, direttamente dalla carta. senza pane. i toscani dicono: a gola pelosa, perché non serve il pane, quando la roba è buona.
e poi il pane copre. gonfia la pancia, e quando torni a letto la pancia deve essere piatta.
anche se l’hai già fatto due, tre volte, tutte uguali, e per quella notte non lo farai più.
era sempre troppo, per una come me.
qualche volta vomitavo, ma era difficile, perché gli affettati, si sa, sono pericolosi, possono fermarsi alla gola e ti saluto addio.
e comunque non si può vivere di solo prosciutto.