In una luce da ospedale
si prepara al sonno
la mia strada.
Marche sui cartoni
si leggono al contrario.
Gli stendipanni già vegliano
nelle ore che sembrano brevi
con le braccia aperte,
druidi impostati
di plastica dura.
Il portale di chiesa
è serrato in cima allo scalone
come un ventre pieno,
inospitale. Dormono i santi
sotto le loro statue.
Il vecchio bar è un insonne,
un tavolo retto dall’unto conserva
il tabacco delle bocche bruciate.
Qualcuno fuma ancora, fili grigi
appostati dietro i balconi,
fili di pensieri sguinzagliati.
Testimoni i lampioni,
ricordano le promesse non mantenute.
E le finestre sono luminarie
di tribù estinte.
E tu? Che mi sei dentro e non mi tocchi?
Tu che ne sai di quali promesse faccio al cielo?
Io che non so incrociare le braccia quando sei con me?
È ora che sento chiara la voce del freddo,
quella che mi si annunciò a dieci anni
con la bocca di bora sotto il seno.
Il capogiro della persiana che di botto
si chiude
e in strada il fiatone metallico
di una zoppa bicicletta anteguerra.