Vivere le strade di una città senza esserci mai stati. Visitare una cattedrale gotica o un teatro romano restandosene a casa a guardare la tv. Oggi si può fare, grazie a Google Maps, programmi TV, blog e siti specializzati.
Qualche secolo fa, come oggi, chi non si accontentava di cartoline e mappe geografiche, si metteva in viaggio, magari con una dettagliata guida Baedeker, e partiva. In Italia arrivano in molti. Tutti restano affascinati dal paesaggio, dal calore della gente, dalla storia. Goethe, nelle sue Letters from Italy, parlando di Venezia scrive: “Quello che mi meraviglia di più è ancora una volta il popolo, la sua grandezza e il modo di vivere istintivo”. Su Napoli: “Quando arrivammo a Napoli il cielo era completamente sgombro da nubi, e ci sembrava davvero di essere in un altro paese. […] Un paese felice che soddisfa tutti i bisogni elementari e nutre un popolo felice per natura, un popolo che sa vivere il presente senza preoccuparsi del futuro”. E aggiunge: “Napoli è un paradiso, […] la campagna fertile, il mare aperto, le isole velate all’orizzonte, la montagna fumosa, etc. Non trovo le parole adatte per descriverla”. Anche D.H. Laurence nel suo viaggio in Italia (D.H. Lawrence and Italy), si sofferma sulla cordialità dei meridionali, soprattutto dei siciliani: “I siciliani sono molto più esuberanti e grassi dei napoletani. Sono sempre cordiali e allegri con tutti, di una familiarità spiazzante per una persona che non è cresciuta vicino ad un vulcano”. L’Italia è vista attraverso la gestualità, il colore bruno della pelle, il profumo della terra che ricorda quella di un passato antico. In maniera simile Virginia Woolf, nei suoi Diari di viaggio in Italia, Grecia e Turchia, descrive un Paese rimasto legato ad un passato antico, quasi immobile, come i contadini e le chiese, ugualmente fissi in un paesaggio appena uscito da un dipinto del Duecento. Di Perugia ricorda: “Al tramonto, naturalmente, lo spettacolo è magnifico: […] i contadini italiani guidano l’aratro in una terra che pare antichissima; è così bruna e secca che tutto l’olio che tiene insieme le zolle deve essersi disseccato […]. Si ha l’impressione di una civiltà immensamente antica”. Di Milano scrive: “Io la paragono a uno schizzo di acquerello”. Henry James, nelle sue Italian Hours, ricostruisce la sua visita in Italia attraverso immagini, luoghi, persone, eventi. Attraverso questo puzzle di colori e sensazioni tenta ti tracciare una linea temporale del suo viaggio. Invano. Sì perché in Italia il tempo trascorre in modo diverso e forse non in avanti, ma indietro, nel passato, poiché “la bellezza era, come sempre, in Italia, nell’aria e nella casualità delle cose. […] Comunicavamo con l’intensità degli eventi, restavamo placidamente nel cuore del passato”. Dickens arriva in Italia pensando di trovare la Roma vista nei libri di storia e letta nelle vedute. Quella che osserva è invece altro. In Pictures from Italy ricorda: “Arrivammo alla città eterna alle quattro del pomeriggio attraverso Porta del Popolo. […] Non era più la mia Roma: la Roma che ognuno immagina, uomo o bambino; degradata e caduta, giaceva addormentata al sole fra le rovine. […] Era nuvoloso, la pioggia era fitta e fredda, le strade fangose. Ero preparato a tutto, ma non a questo, e confesso di essere andato a letto quella notte con un entusiasmo per la città considerevolmente attenuato”. E così qualcosa si incrina, una tessera del mosaico si stacca, una sanpietrino si alza, sotto la zolla della terra fertile nessuna radice. Il volto sorridente del Bel Paese al sole si raggela. E così George Gissing, uno dei pochi viaggiatori a spingersi fino in Calabria, ripensa all’Italia come a un Paese caduto in rovina. Non è la Magna Grecia che lui era andato a riscoprire e di cui voleva scrivere nel suo By the Ionian Sea. Ricordo di un passato abbandonato resta solo un vecchio contadino il cui “volto rude ma gentile, le sue mani rugose, i suoi abiti logori e sdruciti, mi muovevano a un profondo rispetto. Quando le sue parole arrivavano al mio orecchio era come se stessi ascoltando quelle di uno dei suoi avi”.Chi voleva ascoltare, e non sentire, chi desiderava guardare e non vedere, chi aveva premura di odorare e non di respirare, poteva già comprendere, e non idealizzare, un Paese accartocciato, ripiegato, stilizzato e fermo, nel tempo e nello spazio. Questa staticità oggi non affascina più.
Chissà allora cosa avrebbero scritto i nostri cari Johann Wolfgang, Virginia, Henry e gli altri se si fossero trovati a viaggiare oggi nel Bel Paese, o se avessero potuto usare anche loro Google Maps e la nuovissima applicazione WhatWasThere (Cosa c’era qui), ma al contrario, WhatWillBeThere (Cosa ci sarà qui). Già, cosa avrebbero descritto se avessero potuto smuovere il tempo immobile della Bella Italia? Meglio non chiederselo forse. Meglio temporeggiare.