Ne L’isola sotto il mare Isabel Allende racconta la storia della schiavitù nella colonia francese Saint-Domingue, diventata poi Haiti, attraverso quella di Zaritè, chiamata Tetè, schiava al servizio del produttore di zucchero Valmorain. Tetè nasce schiava, ma viene comprata per andare al servizio della moglie di Valmorain a nove anni. Fin da subito si dimostra abile nelle attività domestiche e diventa con gli anni, anche quando la Signora sarà morta, indispensabile. Valmorain, come ogni padrone bianco dell’isola, usa la schiava per ogni suo bisogno. Così Tetè rimane incinta appena adolescente ed è costretta e vedersi portato via il suo bambino.
Le violenze del padrone continueranno per moltissimi anni; saranno interrotte dall’arrivo di una nuova moglie, quando ormai la famiglia è in Louisiana (è stata costretta a fuggire a causa della rivolta degli schiavi). Per Tetè e sua figlia Rosette, la seconda avuta da Valmorain, che questa volta ha permesso alla sua schiava di tenerla, sarà l’inizio di una serie di cambiamenti che darà la svolta definitiva alla loro vita.
La Allende in questo romanzo ci regala un’istantanea nitida della situazione degli schiavi alla fine del Settecento. In alcuni stati europei la schiavitù era stata abolita, ma non era successo lo stesso nelle colonie, poiché la situazione disumana in cui gli schiavi vivevano poteva essere facilmente nascosta ai benpensanti in luoghi così lontani dall’Europa. Nel continente, infatti, molti facevano finta di niente comprando lo zucchero (o altri prodotti provenienti da zone soggette a schiavitù, come il cotone), pur sapendo quanto sangue era costato. Più volte è sottolineato nel romanzo che ormai l’Europa è del tutto dipendente dallo zucchero, non può più farne a meno e quindi chiude un occhio sul modo in cui viene prodotto.
A Saint-Domingue, tuttavia, gli schiavi neri sono più numerosi dei bianchi e dei mulatti liberi, sono tanti e stanno cominciando a scappare dalle piantagioni, rifugiandosi tra le montagne. Lì organizzano la loro resistenza e la loro rivolta, da lì partono per distruggere la predominanza bianca sull’isola. Intervengono Inglesi e Spagnoli in questa guerra, una successione di razzie e violenze, finché la Francia non dichiara l’abolizione della schiavitù sull’isola. Napoleone cerca poi di riottenere il controllo dell’isola, ormai in mano ai neri, ma viene sconfitto, e alla fine verrà dichiarata l’indipendenza della nuova Haiti dalla Francia.
Le descrizioni più agghiaccianti, oltre a quelle della brutalità della guerra, sono quelle delle condizioni di vita degli schiavi nelle piantagioni. Spesso erano costretti a lavorare dall’alba al tramonto senza pause e senza cibo, puniti a frustate; quando uno di loro moriva, se ne comprava un altro per sostituirlo: la loro vita non aveva alcun valore, non erano neanche considerati esseri umani, ma al pari delle bestie. Ciò che più mi ha turbato, è il racconto di come partorivano le donne, che non avevano alcun privilegio pur essendo incinte. Capitava spesso che, nel momento in cui il bambino stava per nascere, esse si accucciassero in mezzo alle canne e lo lasciassero cadere lì sul terreno, senza alcun tipo di aiuto e sostegno. Quando non morivano per cause naturali, questi bambini spesso erano uccisi dalle loro stesse madri, che desideravano risparmiare loro un destino feroce, quello di una vita da schiavi.
La Allende con questo romanzo costruisce un altro capolavoro, in cui la Storia e la vicenda fantastica si intrecciano magistralmente a creare una narrazione fluida e avvincente. I destini di ogni personaggio sono tenuti costantemente in bilico, l’ansia di scoprire cosa sta per succedere tiene il lettore attaccato alla pagina. Ogni libro di questa autrice che prendo in mano mi regala sempre una grande emozione.