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“Mio vero” di Mariangela Gualtieri

Sii dolce con me. Sii gentile.

E’ breve il tempo che resta. Poi

saremo scie luminosissime.

E quanta nostalgia avremo

dell’umano. Come ora ne

abbiamo dell’infinità.

Ma non avremo le mani. Non potremo

fare carezze con le mani.

E nemmeno guance da sfiorare

leggere.

Una nostalgia d’imperfetto

ci gonfierà i fotoni lucenti.

Sii dolce con me.

Maneggiami con cura.

Abbi la cautela dei cristalli

con me e anche con te.

Quello che siamo

è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei

e affettivo e fragile. La vita ha bisogno

di un corpo per essere e tu sii dolce

con ogni corpo. Tocca leggermente

leggermente poggia il tuo piede

e abbi cura

di ogni meccanismo di volo

di ogni guizzo e volteggio

e maturazione e radice

e scorrere d’acqua e scatto

e becchettio e schiudersi o

svanire di foglie

fino al fenomeno

della fioritura,

fino al pezzo di carne sulla tavola

che è corpo mangiabile

per il mio ardore d’essere qui.

Ringraziamo. Ogni tanto.

Sia placido questo nostro esserci –

questo essere corpi scelti

per l’incastro dei compagni

d’amore.

 

Mariangela Gualtieri

 

Se fosse possibile oltrepassare per un attimo la condizione del contingente, se ci capitasse di vivere un giorno nella dimensione dell’eterno e dell’infinito, che esseri saremmo? Quali sarebbero i nostri pensieri? Quali i nostri desideri, le nostre afflizioni?

Mariangela Gualtieri, poetessa e drammaturga, voce imponente nel panorama letterario italiano pubblica nel 2010 “Bestia di Gioia”, di cui questo testo fa parte. Definito il libro della maturità, la prima raccolta poetica fortemente strutturata dopo precedenti pubblicazioni. Temi e toni differenti percorrono i vari componimenti articolati in cinque sezioni. Tuttavia, l’attenzione alle cose umane fa da comune denominatore a tutti i segmenti.

“Mio vero” è in particolare una riflessione sulla caducità del tempo e sul lasso della morte. Un’invocazione alla gentilezza, ai gesti teneri e cortesi, ad una visione tenue, positiva, gioiosa per l’appunto, della realtà terrena. Camminare a passo leggero, fruendo di ogni momento, gustando ogni frutto, è ciò che la poetessa consiglia al destinatario del componimento.

Il tempo incalza e la vita è fugace. Eppure una volta diventati “scie luminosissime”, una volta approdati nell’agognato infinto, avvertiremo una profonda nostalgia, una sincera mancanza, un senso di vuoto. “Nostalgia dell’imperfetto” la definisce la Gualtieri.

L’incompiutezza che ci caratterizza è dunque cosa preziosissima, e l’esistenza in cui spesso ci crediamo imprigionati è un giardino di prelibatezze.

“Ringraziamo. Ogni tanto…” Questa esortazione, posta quasi alla fine del testo, conferisce alla poesia una visione d’insieme quasi francescana. Il centro è la natura delle piccole cose, cose che però diventeranno grandi quando non le avremo più.

Dunque un inno alla vita nella sua dimensione più autentica; un inno che diventa inconsueto se pensiamo che questo testo è stato scritto in anni molto recenti.

Eppure alla vigilia del Natale, un Natale sicuramente segnato da ingenti difficoltà di carattere pratico, questo testo sa riportarci nella giusta prospettiva, ci infonde coraggio per continuare ad apprezzare la vita. Così com’è.