Il suo cognome sta all’origine del termine “sadismo”, cioè il trarre piacere infliggendo dolore fisico o umiliazioni psicologiche all’altra persona. Ma nel territorio in cui ci stiamo per inoltrare la situazione cambia leggermente e assume contorni, forse, ancora più inquietanti: qui, la violenza e l’umiliazione sono motivate. Razionalità autoritaria e sessualità ossessiva: questa era la poetica del marchese de Sade, o se vogliamo la sua mentalità. La totale e indolore indifferenza nei confronti del rispetto umano faceva da cerniera a questo meccanismo. La ragione era saldata al sesso senza nessuna soluzione di continuità, con un’efficienza accresciuta, automatica e, sotto molti aspetti, dalla natura parossistica e compulsiva. La razionalizzazione, di conseguenza, sembrava una giustificazione sistematica, intellettuale e ideologica alle sue pratiche perverse e alla propria personalità.
La razionalità sadiana (o sadica) aveva inoltre, a sua volta, un duplice fine: da una parte la ragione trascinava il sesso alle sue estreme conseguenze, dall’altra Sade non aveva bisogno di alibi e superava così ogni giustificazione. In questo modo, spinto anche da una certa fede religiosa e dalle istanze più rigide di stampo illuminista, portava avanti una personale e coerente rivolta contro l’ordine costituito. Quest’ultimo consisteva in tutte quelle dinamiche sociali, culturali e istituzionali che avevano (e sotto altri aspetti hanno) determinato la repressione del piacere attraverso la vergogna e il senso di colpa diffuso. Mentre per il marchese il piacere (inteso come il coito) era la personificazione del Bene attraverso l’espressività radicale e corporea della sessualità, l’ordine costituito lo emarginava mistificandolo come il Male assoluto.
In ogni caso Sade resterà uno scrittore, un vero scrittore. La sua nevrosi era il tronco dal quale si ramificavano le sue rappresentazioni letterarie, la sua anormalità individuale era accompagnata sempre dal suo modo di fare la scrittura e di intendere lo scrittore. Quindi vero perché la scrittura, per lui, era necessaria. Sade non credeva che la scrittura fosse qualcosa di diverso dalla vita, semmai la conseguenza logica di una sottrazione, cioè un’aggiunta. A differenza di tanti altri autori che fanno, con molta intelligenza, della scrittura un’imitazione della vita, Sade scriveva tutto quello che non gli era consentito di provare durante la sua esistenza. La scrittura sadiana sembra il risultato di una mancanza vitale, di un deterioramento esistenziale. E quel vuoto, che la sua vita non riusciva a sopperire, veniva occupato dalla sua Arte. La sua scrittura aveva un approccio del tutto pratico: quando la Vita non si lasciava vivere, ecco che interveniva la creatività, l’immaginazione.
Prendendo in prestito col contagocce le teorie psicanalitiche di Freud, cercheremo adesso di guardare la scrittura sadiana da una prospettiva diversa. Secondo il grande pensatore, quando il coito (dal latino coitus, incontro) non viene consumato – quando la pulsione sessuale non trova modo di esprimersi, quando la Libido desiderante non trova il suo Oggetto desiderato – viene allora, in termini freudiani, sublimato.
La sublimazione, per intenderci, sposta le nostre pulsioni sessuali verso una meta non sessuale, ma è anche necessaria per le dinamiche sociali. Freud, infatti, intendeva la pulsione sessuale come qualcosa di innato, violento e che non civilizza l’essere umano, ma che può sublimarsi in una meta socialmente accettata. Le forze utilizzate su quest’ultima, secondo Freud, provengono inconsciamente da un ripiegamento della Libido sull’Io e, di conseguenza, dalla repressione delle perversioni sessuali, rendendo la pulsione de-sessualizzata, cioè non sessuale. La pulsione sessuale e aggressiva di un uomo qualunque può, quindi, nascondersi ed essere esercitata ugualmente attraverso la creazione artistica, la speculazione intellettuale e tutte le altre professioni che per la nostra società assumono un grande valore. In ultima istanza, anche uno scrittore.
Se Sade avesse avuto di fronte una teoria freudiana, nella quale magari si sostiene che si può scrivere a discapito del desiderio sessuale, l’avrebbe bollata come un’assurdità. Con molta probabilità decise di vivere godendo e scrivendo i godimenti propri e degli altri, come i necrofili e gli assassini protagonisti ne Le 120 giornate di Sodoma, ma resta comunque un’osservazione da prendere con cautela.
Il limite che separa quella necessità da tutto il resto, che non si differenzia dalla Vita ma che tenta, a suo modo, di completarla, potrebbe celarsi in ogni sua pagina. Quelle stesse pagine nelle quali troverete tutto quello che il marchese avrebbe voluto fare e, se starete attenti, molto di più.