Roma, dicembre 1886: Andrea Sperelli, giovane aristocratico e ultimo discendente d’una razza intellettuale – quella “razza” educata a costruire la propria vita come una straordinaria opera d’arte – aspetta con trepidazione Elena Muti, ex amante, nella sua signorile residenza romana, il cinquecentesco Palazzo Zuccari.
Comincia con questa scena Il Piacere, uno dei romanzi più celebri della letteratura italiana. E il suo autore, tale Gabriele D’Annunzio, di certo non è da meno: siamo nella seconda metà del 1888, tra luglio e dicembre, quando un acerbo, sfrontato ma già talentuoso D’Annunzio butta giù il suo primo romanzo nella villa di Francesco Paolo Michetti (influente pittore e fotografo italiano) a Francavilla al Mare. Il Piacere viene pubblicato nel 1889 dall’editore Treves.
Protagonista dell’opera è un intellettuale che per molti versi si identifica con l’autore: Andrea Sperelli è il suo nome, e nella sua condizione di intellettuale amante del bello e dell’arte non è un’impresa scovare i caratteri di Gabriele D’Annunzio, soprattutto del D’Annunzio giovane. L’uomo che vuole farsi eroe, che costruisce un’immagine di sè presso il grande pubblico e fa della propria vita una splendida opera d’arte, trova il suo alter ego letterario proprio in Andrea Sperelli, cultore di quegli ozi edonistici e di quelle velleità culturali che costituiscono il cuore dell’estetismo, la corrente culturale e filosofica che più di tutte incarna la vita e l’opera di D’Annunzio, e di cui il Vate stesso imprime il timbro nelle pagine del romanzo. La rappresentazione, infatti, parte dal naturalismo, ma le sottili analisi psicologiche fanno approdare poi il romanzo alle soglie, appunto, dell’estetismo.
Scritto in terza persona, Il Piacere si apre con l’incontro tra Andrea e l’ex amante Elena Muti, che risveglia la passione del protagonista. La donna, ora sposata, rifiuta Andrea, il quale si rituffa nella vita mondana di Roma, quella che in fondo gli appartiene davvero. Ferito a causa di un duello, passa la convalescenza presso una cugina – in una villa chiamata Schifanoia – e qui conosce Maria Ferres, donna dolce e onesta, che cede alle lusinghe del protagonista. Ma Andrea ha in testa una sola donna, e non è Maria: il romanzo si chiude con l’immagine dell’uomo che, al culmine dell’intimità, pronuncia il nome di Elena.
Fra le braccia dell’una si ricordava della carezza dell’altra…
Il Piacere risente fortemente del simbolismo e del decadentismo, eppure D’Annunzio, nel tratteggiare con tanta compiacenza l’immagine di Andrea Sperelli, ne prende in un certo senso le distanze. O meglio, l’autore del romanzo sembra sottolineare le contraddizioni in cui si imbatte l’intellettuale decadente: schiavo degli istinti, incoerente, volubile ed ipocrita, Andrea racchiude nella sua figura la fragilità di uno stile di vita artificiale, che non riesce a primeggiare sugli eventi della vita e del mondo. La vita da dandy, tanto cara a D’Annunzio, sembra uscire allo scoperto in tutta la sua inconsistenza.
Assurto a simbolo di una delle più grandi personalità italiane, Il Piacere – nella sua prosa preziosa ma semplice – conserva quel senso di bellezza e di raro, quel sapore dell’Italia a cavallo tra XIX e XX secolo che viveva nella mondanità e nel gusto dell'”arte per l’arte”, prossima – a sua insaputa – all’avvento del ventennio fascista. Di cui, ancora una volta, Gabriele D’Annunzio, sarebbe stato figura centrale.