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Quel saluto a pugno chiuso

Da giorni imperversa una piccola, piccolissima, polemica. Pare che la sera della vittoria di Bersani alle primarie, alcuni suoi collaboratori abbiano alzato, in segno di giubilo, niente meno che il pugno chiuso e subito nel Belpaese si sono ridestate le solite anime belle.

Più di un giornalista ha alluso al retaggio dei baldi giovinotti e li ha sfruculiati.

Ma come, il saluto bolscevico, allora lei è comunista?

E i ragazzotti, che pure di quella storia sono figli, a dire no, certo che no, qualcuno, più coraggioso, ha azzardato un “anche se…”

Pavidi, fuor di ogni dubbio, e inconsapevoli.

La storia del comunismo italiano è fatta di luci e ombre, certamente, ma è lontana mille miglia da quelle pagine infamanti che hanno riguardato altri paesi. È ricca di lotte per i diritti civili e della difesa delle classi deboli, di un riformismo claudicante forse, ma non di sovversione, eppure le nuove leve del Pd hanno tentennato.

Nessuno che abbia detto, sì, lo ammetto, lì sono le mie radici, non rinnego. Hanno glissato.

Il partito, da parte sua, ha ancora una volta scontato la paura della sua stessa storia. Ha cercato di metterla in caciara rispolverando perfino Celentano. Salutavano, non si fa così anche allo stadio quando si vince?

Anni di storia seppelliti sotto una risata, questo è lo scandalo, non quattro fessacchiotti che esultano mimando i loro padri, senza averne la tempra per non parlare della storia. Non ci si può vergognare di certe radici se si è fatto della continuità addirittura un marchio di fabbrica, semmai, all’ammissione, si può – si deve – aggiungere di voler far tesoro di certa tradizione per adattarla ai tempi.

Personalmente non sono comunista ma mi sento di sinistra, di una sinistra liberale e perciò assai apolide qui da noi, ma ho guardato sempre con rispetto a certo passato. L’ho vissuto come un bene collettivo da preservare, di cui essere orgoglioso come italiano anche se è giunto il tempo di cambiare pagina, e perciò mi da noia chi celebra rituali di cui non riconosce l’intima essenza.

Almeno Renzi ha avuto il coraggio di abbandonare le liturgie e di parlare nuovo, ha fatto del taglio netto un tratto distintivo. Può non piacere, ma almeno il messaggio è chiaro. Restare a metà del guado scimmiottando vecchi gesti per pentirsene subito dopo, è più dannoso che fare il salto del fossato.

Per il partito e per il Paese tutto.