Letteratu.it

“Giù nel profondo l’antico aggrovigliato” Rainer Maria Rilke

XVII

 

Giù nel profondo l’antico aggrovigliato

di ogni cosa costruita

radice, occulta scaturigine, da nessuno mai veduta.

 

Elmo di guerra e corno di caccia,

sentenza di canuti, uomini contro i fratelli in ira,

e donne come liuti…

 

Ramo che contro ramo preme,

in nessuno dove un libero…

Uno! Oh sali… sali!

 

Ma ancor s’infrangono.

questo lassù, questo soltanto

si curva nella forma della lira.

 

 

Rainer Maria Rilke

 

 

 

Ricordando l’anniversario della nascita del poeta austriaco (Praga, 4 dicembre 1875) sono felice di proporvi questo sonetto, appartenente alla raccolta “I sonetti a Orfeo”, che mette in luce l’idea di sacralità recondita del mezzo espressivo poetico che Rilke abbraccia.

La messa in evidenza dell’indicibile attraverso la parola, questo è ciò che Rilke tenta di ricreare con la sua raccolta, affiancando alla poesia un’idea di lontano e di mistico racchiuso nel mito di Orfeo che rende il mestiere del poeta simile ad una lotta per esprimere qualcosa di irraggiungibile.

Attraverso un’espressività movimentata e a tratti folle, nella sua raccolta il poeta arriva ad una scelta azzardata dei termini utilizzati, per spingere fino ai limiti più estremi le possibilità della sua poesia, e riesce a rendere evidente al lettore la sua quasi ossessiva volontà di comprendere ciò che non è possibile esprimere a parole, ma che ciascun artista avverte nella terra che ha sotto ai piedi.

La poesia di Rilke può essere avvertita, insieme all’intera raccolta, come una poesia simbolista: egli, infatti, sostiene che sia nostro compito dipingere le immagini che ci si presentano davanti agli occhi analizzando, non tanto la loro vita come realtà esterna, ma il simbolo che può rappresentare un fiore per l’intera umanità che vive sulla terra, simbolo che ci viene donato da un mondo che troviamo oscuro anche se prossimo a noi.

Oscillando in bilico tra le immagini delle sue viscere e la limitatezza del solo mezzo che ha per colorare i disegni della sua mente, il poeta avverte la lontananza di qualcosa di nascosto e celato che assomiglia ad un caos terreno, potenziale ordine divino.

In questo sonetto siamo di fronte ad una descrizione dettagliata, non tanto dell’ambiente caotico in cui sono stati calati certi antichi segreti, ma piuttosto dell’inspiegabile cecità dell’artista di fronte alle radici più lontane dei versi dei grandi poeti che ora leggiamo. “Elmo di guerra e corno di caccia (…) e donne come liuti” sono immagini di realtà trascorse che hanno servito l’arte poetica su un tavolo, per essere tangibile da tutti, ma commestibile per pochi. Rilke ci parla di un’arte tracciata come linee contorte che rimandano a parole indecifrabili appieno, forse perché logorate dal tempo, o perché nate da una mano troppo distante da noi; una mano amica che ci offre le parti più superficiali di ciò che non gli è più utile, e ce le offre a piccole dosi affinché possiamo renderle canto percepibile con tutti i sensi.

Ed è a questo punto, quindi, che il poeta alla fine riveste il ruolo di messo delle voci più profonde dell’”antico aggrovigliato”, messaggero di ciò che ci è lontano e che urla parole di cui udiamo soltanto le ultime sillabe tramutate in canto dal nostro artista che piega questi afflati occulti “nella forma della lira”.