Hanno bussato, sono entrate e si sono sedute.
Una margherita, una rosa e una radio.
Stavano lì e mi guardavano senza proferire parola. Ho provato a ignorarle, ma loro non se ne sono date per inteso. Più fingevo di non vederle più loro mi si paravano davanti. Sempre mute, sempre ossessionanti. Accendevo il computer ed erano lì. Mangiavo, e mi sedevano di fianco. Perfino al bagno si accomodavano senza, ovviamente, essere invitate, per non parlar dei sogni che hanno preso ad abitare con gran frequenza.
Per ore e poi per giorni mi sono chiesto cosa potessi fare io per loro.
La rosa e la margherita avrebbero avuto bisogno più che di me, di un giardiniere, quanto alla radio forse necessitava di un riparatore, cosa che io non sono certamente.
Sono uno scrittore.
Poi ho capito volevano essere raccontate. Volevano esser messe dentro una storia.
Ma io ho già scritto di una rosa e pur anche di una margherita, quanto alla radio m’ispirava punto o poco.
Ho cercato comunque di mettermi al lavoro, di combinar la storia.
Ecco, si poteva raccontare di una rosa che nasce da una margherita e poi la uccide, perché più grossa e prepotente ma ne veniva fuori una storia tra il melenso e il deficiente e poi la radio come ce la appoggiavo?
Due racconti diversi, allora? Uno sul conflitto arboristico-floreale e una sulla radio?
Del primo ho già bello che detto e allora sono passato alla radio. Mi son chiesto, perché non parlare di una radio bella e intelligente, tecnologicamente avanzata che sceglie da sola i programmi da trasmettere? Una radio che, mossa a compassione per la miseria della condizione umana, prende a musicar la vita oltre ogni limite, tacendo ad esempio dell’avvicinarsi di una guerra nucleare?
Però alla radio non piaceva diceva che così veniva fuori cattiva. Perché, per tacere della guerra imminente condannava i suoi padroni a morte certa impedendogli di cercar rifugio. E sotto sotto a dir la verità nemmeno a me piaceva tanto una favola cattiva.
Sono in buona e non mi va di essere crudele.
Ci siamo messi a discutere una sera fino a tarda ora che già la televisione trasmetteva soltanto nebbia, ma non riuscivamo a raggiungere un accordo.
Rosa e Margherita litigavano già da un pezzo su chi dovesse esserere la vittima predestinata, la radio dal canto suo minacciava di suonare all’infinito la canzoncina del Pulcino Pio e allora ho deciso di sopprimerle tutte e tre con una gran vampa.
Ho cominciato a scrivere della flora e poi dell’apparecchio ma poi ho simulato un guasto all’infernale macchinetta, bruciato l’hard sarebbero scomparse.
Così, senza un dolore, in un rogo di circuiti e cavi.
Le ho salutate non piangendo affatto, tanto so che poi non sono morte per davvero. In quanto fritte ora sono nell’aria e al tempo giusto le inspirerò di nuovo e loro riprenderanno forma e continueranno a tormentarmi.
Anzi, ho pensato, già che ci sono, mi conviene preparare un altro stratagemma per liberarmene nuovamente.
Mentre riflettevo sul da farsi, però, hanno bussato nuovamente.
Tremando sono andato ad aprire e indovinate chi ci ho trovato?
Nientemeno che Sandokan che si è lamentato di essere stato tenuto nel cassetto per troppo di quel tempo.
Sotto minaccia del suo kris malese gli ho dovuto promettere allora che presto scriverò di lui, del fatto che, vecchio e stanco, si possa ritirare a godere dei tesori accumulati in tanti anni di scorribande.
A dir la verità, un po’ si è offeso, sentendosi ancor giovane e forte nonostante i quasi cent’anni che si porta sul groppone, ma son sicuro che un accomodamento lo troveremo: lui è uomo di mondo e comunque io non sono certo un cuor di leone.