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Aldo

Foto © uomoconbarba.wordpress.com/

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È il rock’n’roll che in qualche modo ci scalda, proprio nel giorno in cui fuori il freddo è calato come una lama. Diciamo “il rock’n’roll” per semplificare: in realtà è un processo di autocombustione sonora che coinvolge strumento, dita e cuoricino, anima se ci credi o se ci tieni, testa solo se ti sei ricordato un berretto, altrimenti nella capoccia il caldo spinge per uscire e son dolori.

Ce ne andiamo per Torino reinventandoci buskers; tre sciamannati che urlano, percuotono e plettrano sotto i portici sventagliando tre accordi e smadonnando contro bisa tagliente e umanità scostante. Impariamo in fretta che anche per noi valgono le regole della strada, nel bene e nel male: ci si riconosce dall’odore, ci si rispetta dal rumore, è bandito il rancore, ci si raggruppa per aspetto esteriore. E le regole, per fortuna, non esistono senza chi le attua, chi le segue, chi se le ritaglia addosso (o le trasgredisce, dipende da che punto la vuoi vedere): viva la gente, la trovi ovunque tu vai, ed è croce e delizia a suon di rapporti umani fulminanti, non più di un minuto a testa per conoscersi. È il bello del marciapiede: nella tua quotidianità puoi recitare il ruolo che preferisci, ma quando scegli di scendere in strada e di coccolarti la tua mattonella, beh, a quel punto non sei più uno di quelli che corrono sul tapis roulant della giornata. Diventi uno di quelli che la strada la usano, che la rispettano: come la nonna, insomma, soggezione, affetto e compassione frullati in un’unica emozione.

E tu sei lì che massacri il tuo strumento, strizzandone il succo addosso a passanti che non te l’hanno di certo chiesto, e ti senti una specie di alieno, un englishman in New York, ed è una sensazione che ti si appiccica alla giacca alzandoti di venti centimetri. La tua autostima si sposta un po’ più in là, diventi appuntito, spunti, ma solo per chi guarda in obliquo. E così ti trasformi in un catarifrangente che riflette lo scintillìo dell’originalità, che tu sia originale o meno. Non è ciò che fai, è il modo in cui lo stai facendo, è il luogo in cui accade: la strada.

 

E attiri chi in questo scintillìo affoga.

 

Aldo ce l’ha fatto capire da molto lontano. È arrivato come un autotreno danzante, trombe bitonali in gola e rimorchio con le cinghie caricato a fatica sulle spalle. La calata romanesca a segnalarne orgogliosa la provenienza, Aldo ci ha ballato fin quasi addosso incontrollabile come un bimbo, regalando straripante entusiasmo a corridori del selciato troppo eleganti per dargli confidenza. A venti metri da noi aveva già spiegato tutto: ARRIVO ORA DA MARTE, SIAMO TRA VOI ci ha urlato, e poi CHE GIRO SULLO SHUTTLE OH, ANCHE LORO CHE SONANO SO’ MARZIANI, VOI PENSATE CHE I MARZIANI SO’ VERDI CO’ LE ORECCHIE A PPUNTA E CHE MAGNENO LI SCORPIONI E INVECE NO VI DICO, OH, LORO C’HANNO LA MUSICA E VE LA REGALANO, ‘A MUSICA.

Tra le numerose certezze che puntellano la mia tutto sommato semplice esistenza c’è, ben chiara, quella di essere un comune terrestre. Però mentre attaccavamo Louie Louie mi sono davvero sentito un marziano, imparando da Aldo la sublime arte della presa per il culo con cui ha tramutato in liberatorio urlo hippie lo slogan FREEDOM che accompagnava un uomo seminudo sulla vetrina di un negozio troppo costoso. Con i nostri strumenti raffazzonati, agitati dal sacro fuoco del rock’n’roll nella sua versione più rustica e casereccia, per terra un cappello che non voleva saperne di riempirsi di monetine, dovendo scegliere una specie di appartenenza… antropologicamente eravamo sicuramente degli Aldo. Di sicuro era così agli occhi di chi ci sfilava veloce, con l’obiettivo di tramutare quel primo duro freddo in una domenica in vetrina, come si conviene. E così era per Aldo: che annusandoci, ascoltando il nostro rumore, lasciando a casa ogni forma di rancore, ci aveva riconosciuti. Marziano, e voi? Marziani, uguale. Ah, ecco, mi pareva. E suonate qui? Ogni tanto, tu? Io torno con lo shuttle che devo firmà in questura, ho fatto cazzate ma adesso va mejo. È dura, eh? Già, dura. Ma insieme è meno dura, no? No, infatti.

E io che sono uno scettico – ma non rispetto ai marziani, scettico rispetto alla vita nel suo insieme – ho pensato che Aldo era il nostro Flaiano (“a Marzia’, te scansi?”), il nostro Kilgore Trout che andava su e giù dal pianeta Tralfamadore, e che allora Kurt Vonnegut non diceva stronzate in Mattatoio n. 5.

In fondo l’ho sempre saputo. Ci ho sempre sperato.