In principio prese a bruciare il corpo di Cristo: molle. S’era sciolto sul comodino, facendosi un Uno. Legno e pane azzimo, con due botte di vento friulano, s’indurirono: ficcatoseli tra le fauci barbute (ultimo segno chiarissimo di Lucifero, uscito dal sogno rosso), l’agnello liturgico sapeva di carbone; nel percorso viscerale, dalla lingua all’esofago, il palato si tinse di nero, e con scaracchi grumosi s’accorse, Tonon, d’aver sputato ostia e legno all’interno di una coessenziale poltiglia. La puzza catramosa della sua casa infiammata gli faceva rigettare il mangiare. Le fiamme indisturbate traevano alimento dal peccato e la barba seguitava a colorarsi, solidale, con la blasfemia della solitudine sbregata, quella più giusta per il suo vuoto. Blu doveva essere blu, blu, il suo pelo, come il gas che sfiatava e che tiene ancora acceso perchè la madre s’elevi come una colomba e partorisca braccia e mani dalle zampette, Nivea tra le unghie, e annienti, con il miracolo della Resurrezione, una bombola operaia da cui tutto ha origine. Lo scoppio. La scintilla miracolosa che tutto sta pulendo!
Dallo scoppio della sua mamma cristiana si erano ramificate capillarmente le fiaccole che avevano abbeverato le interiora della casa. Dal didentro bussava la calura, graffiava lo strofinamento, era un fiammifero benedetto.
Dalla cenere si doveva rinascere.
Dalla cenere il rinascimento beato.
Sotto la crosta terrestre della casa c’erano le stelle. Nel cielo puntelli di carbone sfrigolante parevano miccette. I polsi, Tonon, li aveva arricciati, come plastica fumante, le stimmate scavate erano tamponate da gocce di whisky, e dalle finestre cadevano lingue di cera: le stanze gocciolavano, come un sudario fradicio, come una statua sacra dalla quale sgorga quel sangue acquoso, contaminato da ossigeno e stupore mistico, al quale i preganti riservano Padre Nostro-Ave Maria e spellate labbra, spezzate dal freddo delle navate scoperte.
Di fuori il tetto spioveva come sotto catarsi estatica, con le tegole strabuzzanti come occhi che vedono il Cristo senza costato ferito. Da quel costato, ovvero dalla rottura mediana di uno dei tanti coppi, zampillava cenere frammista a liquido organico.
La casa era un santo arso vivo, e le linguacce infuocate premevano verso se stesse.
Il resto era incontaminato.
Talune notti Tonon s’affacciava, ma, conclusasi la flessione, ritornava sulla soglia con il collo ammorbato da serpenti blu-viola: il combustibile fuligginoso non accendeva la sua carnaccia, sostava in una decorazione fantasmatica.
Fiamme dentro, calde; fiamme fuori, fredde. Spirito Santo, dentro il suo petto, caldo; Spirito Santo, fuori dal petto, freddo.
Sul vetro opacizzato, dello specchio, applicava minuscole croci romane, e s’immergeva, come per una consecutio pagana, nella vasca: cubici pezzi di ghiaccio galleggiavano, mentre cuboidali porzioni di ardesia, uscivano spremuti dal soffitto del bagno. Quando le fiammate si placavano, per forze sconosciute, riapplicava la Bibbia sul pomello della porta principale. “Che una lettura materica del Verbo, per via tattile, apra questo spazio!!!”, diceva alla metà di se stesso. L’altra metà, tuttavia, si immaginava con Enzuccì, sotto alberi che avevano come frutti i suoi riccioli d’infante; sotto i cumulonembi, da cui zampettavano veli elettrici irati, s’attorcigliava, il bambino-Emanuele, al ventre della madre parlottando con esso, come se dovesse nascere il fratello del Cristo-Tonon, il fratello apocrifo, il successore della sua morte alcolica, che però non avrebbe tolto la merda dal mondo, l’avrebbe spalmata su quella casa, su quell’impero da dove non si può più uscire, su quelle porte etichettate da impronte fecali perchè il Vendicatore non spappoli l’unico sarcofago di immobili affetti!
Ai lati la casa bruciava più lentamente, pareva un corpo liscio sul quale discendevano cascate di vino; un vino chimicamente ignifugo e, ciononostante, caldissimo, profumante di incenso. Eppure, da quella fragranza, senza giustificazione fisica, s’espandeva un secondario puzzo di piscio rappreso. Emanuele-Cristo c’aveva rapporti con il fuoco, che per lui era una fase sostanziale del sangue e del corpo di Cristo, durante il sacramento! e pertanto, per completare la partecipazione uomo-Dio soleva pisciare agli angoli della casa. “Nella liturgia eucaristica il liquido più povero che galleggia dentro lo stomaco dei cristiani deve fuoriuscire, deve lavare il vino e il pane, bagnarli”, diceva alla casa.
Beveva molta acqua.
Si attaccava alla tristezza osservando i pali della luce. Scavalcava, con gli occhiali, le fiamme amaranto pallido, mentre piccoli lapilli gassosi, schiaffeggiati dalle correnti d’aria, si attaccavano ai tronchi scorticandoli; E questi collassavano come croci abbattute a rito ultimato, a disperazione conclusa, a preghiere puzzanti di aceto rosso. Davanti alla sua dimora non vi era il patibolo romano, non c’ era il sacrificio dei tre ed il paradiso per uno dei tre, vi era una Uno bianca scassata ferita macchiata stuprata dal culo ferroso, vi era un Profeta secco e gommoso, vi era la sua mamma-Madonna Giusta seduta, piccola sovrannaturale che inghiottiva minuscoli falò e gli sorrideva a denti incendiati. Sino a che lei fosse rimasta lì, Emanuele non poteva fuggire, non avrebbe potuto svestirsi ed indossare il sospiro, la beata pacificazione del dopo-morte, la distensione della fronte dopo la definitiva cresima adulta. Avrebbe vissuto bruciato morto… eppure sotto-forma di Cristo bukowskiano, con un cuore immensamente produttivo, mai sterile, orgasmico ed allora fertile!
Da questo cespuglio s’è appena acceso un mio capello, s’è staccato dalla cute biancastra, le nuvole paiono imperlate di viola butano, e m’auguro che i piromani abbiano di nuovo un lavoro.
Dalla casa di Emanuele le urla esplodono, come quelle di un cane bruciato vivo.
Io, per mio conto, ho visto una casa santa, un uomo santo, un uomo con la fiamma materna, un Cristo desolato, un Signore che insegna la bontà della disgrazia.
Uno scrittore nelle fiamme del paradiso, che però ha la lingua nera, come il carbone, quello dei poveri di spirito che hanno il regno della terra.
Le fiamme sono ancora alte, nella notte.