Con questo mio post vorrei esprimere la mia opinione riguardo il pregiudizio negativo nei confronti dei libri “da classifica”. Sto, infatti, per recensire il nuovo romanzo di Paolo Giordano, e facendo un giro su internet, o anche semplicemente ascoltando voci di corridoio in università, in libreria, in biblioteca, mi accorgo di quanto sia diffusa l’idea che “Il corpo umano” sia solo una trovata commerciale, un libro scritto per vendere, un’operazione di marketing, un’opera scritta non con passione ma con l’obiettivo di guadagnare. E, di conseguenza, è diffusa l’idea che, per tutti i motivi che ho elencato, sia un libro scritto male. Non è così, l’ho letto e mi è piaciuto molto.
Ho apprezzato la sensibilità schietta con cui Giordano sa descrivere la vita di un soldato in Italia, la sua routine, le emozioni che prova quando si trova costretto a partire per l’Afghanistan e quelle che suscita questa partenza nei familiari dei militari. Non tralascia i dettagli, ma non cade mai nel macabro. Non vuole dare spettacolo, ma descrivere, raccontare una scelta di vita ed un’esperienza a cui non pensiamo spesso. Giordano mi ha commosso, ma mi ha anche aperto gli occhi. Perché è facile parlare di guerra, giudicare, sparare sentenze, per chi non ha visto quello che succede.
È difficile ogni cosa che per noi è immediata. Mangiare, lavarsi, chiamare i parenti, svagarsi: per noi sono azioni quotidiane, date per scontate. Non potrebbe essere altrimenti dato che abbiamo tutto a portata di mano. Per un soldato anche mangiare un pezzo di carne può essere una sfida, in un deserto privo di vegetazione in cui, a causa di frequenti tempeste di sabbia e condizioni climatiche disastrose, i rifornimenti faticano ad arrivare con regolarità, e anche quando arrivano non c’è la garanzia che siano soddisfacenti (spesso si parla di scatole e scatole di latte in polvere, sottaceti, cibi pronti).
Ma quello che più cambia quando si va in guerra, è la percezione di sé stessi e quella del proprio corpo. Attraverso l’espediente del romanzo corale, Giordano dà implicitamente spazio a come i soldati si considerano l’un l’altro, per esempio nel caso della malattia di uno di loro: “Quel corpo che sta male appartiene anche a loro e lo trattano con rispetto”. Una delle trasformazioni che più colpisce il lettore civile è quella che avviene durante un’operazione rischiosa, in cui i soldati sono costretti ad uscire dalla bolla di sicurezza (in cui non c’è pericolo di incappare in un nemico) per riaccompagnare nel loro paese alcuni camionisti afghani, che si erano accampati in sciopero davanti alla base militare. Così diventa l’uomo:
“Sono scomparse molte delle qualità che distinguono gli uomini dagli altri animali. Da adesso in poi, riflette [parla il tenente a capo dell’operazione], lui stesso non esiste più in quanto essere umano. Si è tramutato in qualcosa di astratto, un agglomerato di pura allerta, di pura reazione e di pazienza”.
E sta in questo, secondo me, l’abilità di Giordano: sa rendere intensa ogni emozione, sa dare voce ad ogni personaggio permettendo al lettore di immedesimarsi senza riserve, sa costruire un’architettura di sensazioni che, attraverso le sue parole, descrivono limpidamente il mondo di cui ci vuole raccontare la storia. Controverso il tema, meraviglioso il romanzo. Consiglio una lettura libera da pregiudizi.