E per ora è finita. La stazione di Cinquefrondi è tornata ad essere un piazzale muto nella notte d’Aspromonte. È bastata una frana, ma pare non aspettassero altro, per fermare la vecchia littorina. Chi non ci è mai salito non può capire. In quei vagoni dai sedili in pelle, rovinati dalle ragazzate dei liceali, in quella porta che non trovava pace, sbattendo da un lato e dall’altro, a ogni accelerata, da un po’ non siede più nessuno. Sciocchezze da sentimentali, ma quando perdi una cosa, dai dimensione anche ai suoi difetti. E a me quel viaggio nel sole d’agosto o nel piovoso novembre, ha sempre dato l’idea di un attraversamento di coscienza: la strada ferrata come la vita, la fiumara come gli incontri, gli alberi, i fiori, gli animali, come i mille pensieri che vanno e che vengono nella stazione della mente. Ogni stazione un popolo distratto, frettoloso quando non ostile, amichevole, rarefatto. Perché sulla littorina, insieme ai bigliettai e ai loro crucci fatti di centesimi mai pagati, eravamo sempre di meno. C’era la donna rom con suo marito, che inventava bugie sempre nuove, e questionava sul biglietto che avrebbe pagato un domani che non è arrivato più. Ragazze e ragazzi, una platea di soprannomi urlati, parolacce e gioia, mentre la selva della loro età difficile e dei paesini a degradare verso Gioia si infittiva. Un’età che in qualche modo avrebbe lasciato il segno, nel presagio sinistro dei mostri di cemento e dei copertoni abbandonati in radura: benvenuti, passeggeri, nel mondo degli adulti, dove gli errori sono permanenti e hanno travi e mattoni bene in vista, dove un centro commerciale e un palasport mai finito minacciano anche l’anima dei papaveri, l’ultima difesa naturale. I graffiti incomprensibili e inconcepibili, le leve di manovra e le grandi bobine di filo nero, lasciate scomparire dagli occhi alla velocità giusta per vedere riflessa nel vetro una vecchia, due ucraine, un senzalavoro. Il treno dei poveri, che porta in un nulla fatto di verde e cemento, nell’illusione che Gioia Tauro sia la stazione di treni non più destinati al Nord eterno. La littorina crema e amarena, gelato di metallo, riposa sui binari, svegliata da passeri e sassi di fionda, e il vapore del pianto tra poco sarà ruggine.