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L’importanza dell’attivismo di noi giovani

Odio gli indifferenti. […] Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia.

Opera passivamente, ma opera. È fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piano meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. […] E allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E quest’ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.

Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. […] Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. (Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917)

Questo insegnamento lasciatoci da Gramsci, penso debba essere proprio di ogni ragazzo. Capire quanto sia importante partecipare attivamente alla vita dello Stato, alla vita politica del proprio Paese, interessarsi a ciò che lo circonda, insomma crearsi una propria opinione e parteggiare per essa, magari cambiarla una volta che si capisce che è errata. Ritengo che questo sia uno dei fondamenti più importanti della nostra esistenza. Questi ultimi scandali politici stanno allontanando ancora di più i giovani ad interessarsi alla vita politica e giustificare lo schifo che si prova per rimanere nel limbo dell’insaccenza, non porta a nulla se non al continuo naufragare del presente che si protrarrà nel futuro. Lo Stato siamo noi, ovvero l’insieme di tutti i cittadini con i loro diritti e doveri; lo Stato che sarà, siamo sempre noi che operando bene nel presente, potremo cambiare il futuro. Forse stiamo capendo che è ancora importante riuscire ad indignarsi ma da questa indignazione deve seguire qualche cosa di concreto, non può essere un’arrabbiatura temporanea e poi dopo pochi mesi si ritorna al ‘Chi se ne frega’, o al ‘Tanto non cambia niente’.

È fondamentale non essere indifferenti e non rimanere inermi e il mio timore si fonda sul malumore che avverto tra i miei coetanei che, come dice Gramsci, danno vita a piagnistei da eterni innocenti, da eterni sconfitti in partenza perché tanto non si può fare nulla, da eterne vittime perché tanto è già stato tutto stabilito. Il secondo dei sette vizi capitali è l’accidia, e penso che molti ragazzi stanno vagando in questo girone infernale da anni, facendo anche il gioco di chi sta al potere. Molti, da finti intellettuali, si riempiono la bocca di parole con discorsi che fanno leva su ideali arcaici, rimembrano eventi storici fin troppo lontani dai giorni nostri e provano nostalgie per epoche che mai hanno vissuto. Dunque discorsi, discorsi, discorsi, parole su parole ma all’atto pratico, non fanno nulla e non si fanno promotori di un vero cambiamento.

Insomma io ho un atroce timore, che si tramuta in vera e propria ansia, sull’inattivismo giovanile, perché penso al futuro e tra qualche anno, quando sarò veramente grande, non vorrei ritrovarmi a sostenere, come cantava Gaber, che la mia generazione ha perso.