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“Prima di tutto l’uomo” di Nazim Hikmet

Non vivere su questa terra

come un estraneo

e come un vagabondo sognatore.

 Vivi in questo mondo

come nella casa di tuo padre:

credi al grano, alla terra, al mare,

ma prima di tutto credi all’uomo.

 Ama le nuvole, le macchine, i libri,

ma prima di tutto ama l’uomo.

Senti la tristezza del ramo che secca,

dell’astro che si spegne,

dell’animale ferito che rantola,

ma prima di tutto senti la tristezza

e il dolore dell’uomo.

 Ti diano gioia

tutti i beni della terra:

l’ombra e la luce ti diano gioia,

le quattro stagioni ti diano gioia,

ma soprattutto, a piene mani,

ti dia gioia l’uomo!

 

Nazim Hikmet

 

L’uomo è l’alfa e l’omega di tutte le cose, il principio e la fine ultima. Che cosa infatti si può dire o fare prescindendo dalla nostra condizione esistenziale?

Nazim Hikmet, una voce artistica straordinaria nel panorama novecentesco, ci induce a riflettere su tutto questo, e lo fa attraverso un componimento poetico che è una lettera, un invito, un ultimo appello. Un invito a non considerarci estranei, vagabondi, clandestini del e nel mondo, ma protagonisti, temporanei sicuramente, eppur sempre protagonisti.

Dunque che cosa rappresenta l’uomo per l’uomo?

Il senso di precarietà che talvolta avvertiamo, anche forte e preponderante, può farci smarrire l’obiettivo. L’obiettivo non è altro che l’uomo stesso, nei suoi punti di forza così come nelle sue fragilità. Il poeta con decisione afferma tale concetto.

Allora sminuire tutto ciò che ci circonda? Certo che no, tuttavia è importante, necessario, ineludibile comprendere come quel tutto ha valore se noi vogliamo dargliene e lo perde se scegliamo che non debba averne. Spesso però veniamo travolti dalle cose e smarriamo la rotta.

“Nuvole, macchine, libri, tutti i beni della terra” possono darci gioia,così come potrebbero scaturire in noi tristezza “il ramo che secca”, “l’animale ferito che rantola”, ma prima di tutto dovrebbero darci gioia e dolore l’uomo e i legami tra uomo e uomo.

Quanto conforto scopriamo in questi versi! Leggere che il mondo deve essere per noi la “casa del padre”, la nostra fissa dimora e l’uomo ne è principe. Il tempo che ci è toccato di vivere, infatti, così miseramente scandito dall’incertezza, dalla diffidenza non sembra di essere in grado di definirci, di darci un’identità stabile. Hikmet suggerisce a questo punto di recuperare la dimensione umana, di prediligere l’uomo, di collocarlo “prima di tutto”.

Potrebbe apparire scontata come proposta, già sentita, banale. Eppure non è così.

Nella nostra scala valoriale infatti, nella successione delle priorità l’uomo che posto occupa?