Chissà a cosa pensava Antonia in quel settembre del 1610 mentre la stavano portando al patibolo? Forse a niente, e comunque Sebastiano Vassalli ne La chimera, il libro che ha proprio lei come protagonista, non lo dice. Ci dice molte cose della sua vita, ma questo proprio no.
Sappiamo, ad esempio, che Antonia trascorse i primi anni della sua vita in un orfanotrofio di Novara perché era un esposta abbandonata prima di essere adottata da una famiglia contadina della bassa della frazione di Zardino (oggi il paese non esiste più). E nella contrada si attirò l’invidia e la maldicenza delle comari che proprio non capivano perché quella coppia s’era adottata proprio lei, che era un’esposta, e non qualche altra bambina del posto. E si sa anche che in campagna la gente vedeva le cose in modo diverso, che vi regnava la superstizione in grado di trasformare gli oggetti in esseri animati. E così di Antonia si disse che era una strega, frequentatrice dei sabba.
Il sabba era l’incontro segreto che avveniva tra donne e il diavolo. I partecipanti vi arrivavano in volo, dopo essersi spalmato il corpo di unguenti, a cavallo di bastoni o di manici di scopa. Si doveva rinunciare alla fede cristiana, profanare i sacramenti e prestare omaggio al diavolo. Seguivano banchetti, balli e orge sessuali.
Chi andava al sabba, partecipava a un culto diabolico ed era processato come eretico dal tribunale della santa inquisizione con la certezza che un reato di questo tipo in quell’epoca cadeva immediatamente sotto la scure della Santa Inquisizione e che il reo (o più spesso la rea) era condannato al rogo.
Ma torniamo al libro di Vassalli. Fu pubblicato nel 1990 e vinse lo Strega e arrivò finalista al Campiello.
Romanzo storico? Certamente, ma anche libro che attraversava un’ideologia che da decenni faceva parte dell’universo femminile o femminista, e non so quanto ne fosse consapevole Vassalli.
Chi ha un pizzico di memoria storica, infatti, ricorderà che uno degli slogan più in voga nei cortei dell’8 maggio (giornata mondiale della donna) era: “Tremate, tremate, le streghe son tornate”.
In queste poche parole c’era un’idea di donna da demolire e un giudizio storico da rovesciare imperniato sulla stregoneria come fenomeno e sulla strega come protagonista.
La caccia alle streghe raggiunse il suo massimo tra il XV e il XVI secolo e colpì soprattutto le donne. L’area di diffusione fu l’intera Europa cristianizzata. Cattolici e Protestanti usarono lo stesso zelo nella repressione. Bastava una semplice denuncia anonima perché una donna fosse accusata di stregoneria. Le confessioni erano spesso estorte con la tortura.
Ma perché le donne? Perché nell’immaginario popolare e dotto la donna era impura e inferiore all’uomo, secondo quando affermano le Sacre Scritture.
In ultimo c’è da dire che l’immagine della strega e del sabba fu frutto di una lunga elaborazione teorica da parte delle Chiese cristiane. L’inquisizione romana, ad esempio, fu fondata tra il 1227 e il 1235 e affidata all’ordine domenicano con lo scopo di estirpare l’eresia. All’inizio si disse che era eretico chi credeva all’esistenza del sabba come culto organizzato e alla fine si affermò che eretico era chi non vi credeva. Nel 1486 venne pubblicato il Malleus Maleficarum, ovvero manuale del perfetto inquisitore, che sanciva il carattere diabolico della strega e delle pratiche ad essa collegate.
Un’ultima annotazione. Della stregoneria sappiamo solo quanto emerge dai processi, ovvero le idee dei giudici. È lecito supporre, quindi, che essa fosse l’elaborazione dottrinale di antichi culti agrari (come d’altronde dimostra Ginzburg a proposito dell’evoluzione dei Beneandanti, che si rifacevano a culti agrari e che due secoli dopo troviamo implicati in processi di stregoneria).
E allora perché quello slogan del femminismo del tardo XX secolo?
Le streghe son tornate con la loro carica dirompente di sessualità disorganizzata. Cos’era il sabba se non la metafora di un bisogno da parte della donna di una sessualità non finalizzata ai bisogni dell’uomo o alla procreazione?
Che cos’era se non la frattura di una razionalità generalizzata su cui si reggeva la logica della produzione (agli uomini il lavoro e alle donne la cura della casa e dei figli)?
Beh, la donna, trasformandosi in soggetto di differenza e di disordine, dichiarava che a quel gioco non intendeva più partecipare.
Cosa poi sia realmente accaduto, è un’altra storia