Molti anni dopo, di fronte al portone di Annunziata, il giovane Giuliano avrebbe ricordato quel remoto pomeriggio trascorso come sempre ad aspettare la sua ragazza.
L’Honda su cui sedeva era fresca di concessionaria: neanche un graffio.
Giuliano ancora non aveva imparato ad ingannare l’attesa. Fissava ingenuamente l’orologio, contemplava i passanti, studiava la sua moto.
Quel pomeriggio conobbe Maurizio, uno zingaro dall’aura inquietante, con cui presto avrebbe fraternizzato. Non aveva tutte le rotelle a posto, ma Giuliano provava piacere nel parlare con lui. Temporaneo diversivo.
I ritardi di Annunziata, tuttavia, non erano scherzi: trascorsa mezz’ora, il tempo rallentava.
Una sigaretta dopo l’altra e Giuliano finì ad immaginare un futuro di attese. Figli che uscivano da scuola, appuntamenti con amici, vacanze al mare. E si vedeva poi, defunto, seduto sotto a un albero ad aspettare che lei lo raggiungesse. Maurizio non gli avrebbe fatto compagnia per sempre.
L’ansia di una vita sola e solitaria lo portò via dal mondo. Non s’accorse dell’assalto del vento, né del sole che esausto calava. Un turbine di collera incalzò assieme alle ore che insistevano a correre. Tutto, però, esasperò ed implose nel momento in cui Annunziata comparve.
«Ti ho fatto aspettare molto?»
«Tranquilla, giusto cinque minuti».