Tra i vari Paesi del G20, l’Italia si conferma fanalino di coda per ciò che riguarda la crescita economica. A dirlo sono i dati Ocse che hanno fatto registrare un Pil pari al -0,8% nel secondo trimestre del 2012. Il Belpaese quindi si trova dietro a Regno Unito che ha registrato un -0,5% e dietro la Francia che ha avuto crescita zero. Sempre confrontando i dati con i 20 Paesi più industrializzati non figuriamo bene nemmeno come media nazionale del Pil: da un +0,7% del primo trimestre dell’anno, siamo scesi al +0,6%. Dati non certamente esaltanti in vista della crescita economica che ci si augura possa finalmente decollare nel 2013, se si pensa che gli investimenti pubblici nella ricerca nel nostro Paese rimangono sempre inferiori alla media degli altri Paesi industrializzati, anche se comunque sono cresciuti negli ultimi anni.
A conferma di ciò, e se ne è parlato a lungo e continua ad essere sempre fonte di dibattito, i ricercatori italiani spesso sono costretti ad emigrare in altri lidi in quanto qui in Italia non riescono ad affermarsi. E quanti sono coloro che in altre Nazioni hanno trovato successo confermando di essere eccellenze fatte partire troppo facilmente. E comunque, fatto sta che rimangono fin troppo deboli i legami tra il settore dei privati e i ricercatori. Nel sopracitato rapporto, a conferma di quanto detto, si sottolinea come in Italia “L’innovazione sarà cruciale per stimolare la competitività e la crescita sostenibile nel lungo termine. Nel 2010 la spesa domestica in ricerca era pari a solo l’1,26% del Pil, circa la metà della media Ocse, una percentuale più in linea con i Paesi in via di sviluppo. Il settore privato contribuisce solo a circa la metà di tale spesa, una quota bassa per un’economia avanzata. Tale bassa quota di ricerca pubblica, finanziata dall’industria, indica deboli legami tra l’industria e la ricerca: il tasso di brevetti delle giovani imprese è basso”. Un quadro da cui si evince che l’Italia ha pochissimi ricercatori confrontando i dati degli altri Paesi, nonostante però la partecipazione ai network internazionali sia abbastanza elevata. Un dato positivo riguarda la cosiddetta ‘green economy’, dove il Belpaese si sta impegnando e sta migliorando dando segnali di speranza, tanto da poter sviluppare anche una specializzazione in questo campo.
A dare un quadro negativo si inserisce anche il Centro studi di Confindustria, Csc, che vede regredire le stime sul Pil nel 2013 da un -0,3% a un -0,6%, spostando così la ripresa economica, la cosiddetta ‘svolta ciclica’, tra il secondo e il terzo semestre del prossimo anno. Lo stesso Csc spiega che è “Una situazione che colloca l’Italia nel pieno della peggior crisi economica in tempo di pace. I danni prodotti sulla produzione sono talmente profondi che non è improprio raffrontarli con quelli conseguenti alle due guerre mondiali, cioè agli eventi più drammatici della storia recente. Fino ad oggi – prosegue nel dettaglio il Csc – le conseguenze della crisi sul Pil italiano, -6,9% dal picco, risultano di entità superiore a quella degli effetti della prima guerra mondiale, mentre sono stati molto meno dirompenti di quelle della seconda quando il Pil scese del 45%, anche se probabilmente risulteranno più persistenti, date le diverse velocità di recupero”.
Neanche i numeri sono confortanti. Si pensi che sempre secondo i dati stimati, i consumi degli italiani subiranno quest’anno la flessione più grave dal dopoguerra: -3,2% procapite. L’anno prossimo torneranno ai livelli del 1997 con una frenata nella caduta che porterà i consumi al -1%. C’è da aggiungere che la disoccupazione aumenta, fattore che ovviamente incide sul Pil potenziale del nostro Paese. Dal rapporto si evince che in Italia dal secondo trimestre 2011 al secondo trimestre 2012, i disoccupati sono cresciuti di 758mila unità. Al di là dei numeri, delle statistiche, dei dati, dei rapporti, si evince che serve un politica economica seria, volta alla crescita del Paese e non dichiarazioni di facciata o attacchi inutili tra politici di partiti avversari né tantomeno promesse populiste volte solo a racimolare voti in campagna elettorale.
Insomma, tocca rimboccarci la maniche… rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare.