L’attaccamento alla propria terra, più che testimonianza di astratto patriottismo, è voglia di riscatto. Nel periodo in cui tutti se ne vanno, e il verbo ‘tornare’ sembra coniugarsi con un tempo impossibile, voglio azzardare il verbo ‘restare’.
Nel corso degli ultimi anni, la mia terra, la Puglia, è stata fermento di scelte dei e per i giovani, per la cultura e per l’arte. La testimonianza più grande è sempre la propria, è l’esperienza privata e personale di tutti quelli che hanno scelto di restare, e che ogni giorno si muovono e contribuiscono a rinvigorire il cuore delle proprie origini.
Caproni diceva: “Siamo nel deserto, e volete lettere da noi?”. Allora, nonostante i molteplici ostacoli, noi continuiamo a mandare lettere, con destinazione la parola crescita, che non è quella dei numeri del mercato internazionale, della Borsa, ma è quella dell’istruzione e della cultura.
Adesso, con questo spirito, la memoria è lo strumento più significativo a cui ricorrere per inorgoglire un po’ gli animi. Come non potrebbe essere così?
Succedeva nel 1954 che Calvino, in compagnia di Franco Attonicelli, si recasse in Puglia per la “Settimana Einaudi” prevista tra la fine di giugno e i primi di luglio. Questo viaggio si rivelò indimenticabile per entrambi, che ne furono ispirati al punto di arrivare alla pubblicazione di Finibusterre, romanzo breve nel quale si ripercorrono alcuni luoghi, arricchendoli di episodi e incontri imprevisti, di scoperte e suggestioni. Calvino fece un breve resoconto di quella settimana, rimasto inedito a lungo, che evidenzia con spirito critico osservazioni sugli intellettuali e sulla cultura del tempo.
Ed ecco che si legge una delle descrizioni più vere, e tra le più belle, della città di Bari, in un emozionato (ed emozionante) ritratto della vita nel borgo antico:
“… Il mondo attorno all’antico San Nicola è un formicaio ebbro di vitalità. Vecchi cortili sono stanze, vecchie cappelle sono magazzini, una scala sfonda un muro, un muro alza la testa oltre il soffitto. Passa con il braccio steso il venditore di pomodori secchi e salati e il suo lamento incomprensibile eccita l’appetito. Allora mille bambini seminudi sporgono il loro pezzo di pane. Mentre la madre pettina la comare, la figlia fa la pasta su una pietra larga, davanti all’uscio di casa. Con un pizzico di pasta mette al mondo altri pupi, ci soffia su: andate a giocare, toglietevi di qui. Così si moltiplica all’infinito la vecchia Bari, grazie a Dio, cresce nuova e non muore mai.”
Era, quella, la Bari in cui Vito Laterza si apprestava a imprimere il proprio sigillo sulla casa editrice che era stata di Croce, pubblicando le opere di giovani scrittori meridionalisti, come Rocco Scotellaro.
Era la Bari di Vito Maurogiovanni, che era nato, e aveva vissuto e “operato” nella città attraverso “versi – come riferisce Tommaso Fiore – nati dalla sua vita, prodotto naturale di tutto il suo essere poetico, del suo modo di guardare gli altri e sempre a cose sue, a pensieri suoi, al suo modo amaro di concepire la vita con la sua faccia liscia bianchissima, con qualcosa di singolarmente puro, da francescano..”.
Era la Bari di Gianrico Carofiglio, legato ai luoghi della Puglia per il loro essere angoli oscuri, surreali, non necessariamente belli ma veri pezzi di vita: lo scrittore ha raccontato la sua città, i luoghi impressi nella sua memoria, ricordando le parole di Paul Bourget, che rendono esattamente l’idea della sua città:
“La trovo attraente questa città nuova con le sue vie larghe ad angoli retti, che consentono sempre di vedere in fondo ad esse il mare, come a Torino si vedono le Alpi”.
Carofiglio in fondo alle vie non ha più visto il mare, perché dal 1891 nuovi quartieri sono nati e cresciuti e perché le auto soffocano la vista oltre che il respiro. Eppure di notte, il pomeriggio della domenica o in certi giorni di festa, quando non c’è traffico e le strade sono sgombre, si può ancora provare quella sensazione rettilinea di itinerari prevedibili e svolte rassicuranti. E paradossalmente è proprio in quei momenti che balena l’intuizione, ambigua e vertiginosa, di essere su instabili punti di fuga, diretti verso posti lontani.
E’ la Bari di oggi, che pullula di nuove proposte, come quella di A Bari, amore mio!, omaggio alla città , alle sue tradizioni, ai suoi talenti, che offrirà ai baresi (e non solo a loro) una serie di iniziative che spaziano dalla letteratura al cinema, dalla musica al teatro, a quasi quarant’anni dall’uscita di Polvere di stelle. E come Sordi ripete alla Vitti, lo faccio anch’io:
“Ti porto a Bari, amore mio!”