E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che,largo,esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.
Giovanni Pascoli.
E la sua natura. Quale metafora più adatta per descrivere la vita umana?
Quando si è bambini, la pioggia ha sempre qualcosa di mistico e inquietante, i tuoni ci sembrano urla lontane di giganti scappati via da qualche racconto del terrore, e i lampi che squarciano il cielo sembrano entrare in casa, lasciando che il nostro rifugio siano solo le coperte. La poesia che vi presento oggi parla proprio di questo. Del senso di smarrimento, paura e impotenza che si prova quando un lampo squarcia il cielo e per una frazione di secondo illumina tutto ciò che fino a quel momento era rimasto nell’oscurità, nascosto alla vista e alla mente.
Giovanni ci parla della vita, di quanto un secondo di luce potente può illuminare ciò che il buio nasconde: il caos. È un Pascoli esterrefatto e stupito di quanto il dolore possa apparire all’improvviso: la tempesta di cui sta parlando il poeta è tutta interiore, è la guerra eterna che si combatte nel cuore.
La terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
Tutti gli aggettivi concorrono a dare un’immagine precisa di come si sente l’autore e di ciò che vuole trasmettere, per tutta la breve poesia c’è di sottofondo questo sentimento d’ansia e smarrimento. Pascoli utilizzava spesso fenomeni atmosferici per descrivere precisi stati d’animo, ricordiamo la nebbia, o il silenzio dei gelsomini notturni, o, come in questo caso, il lampo.
La poesia fa parte della raccolta “Myricae”, è collegata a “Tuono” e “Temporale”, una sorta di trittico fonosimbolico per descrivere le sensazioni dell’autore, tramite metafore e immagini della terra sconvolta da cause esterne e improvvise.