Oggi, presso la sede dell’Associazione Agorà e del Comitato per la legalità di Bitonto, sarà presentato “Il grido e l’impegno. La storia spezzata di Michele Fazio” un libro scritto dall’insegnante di lettere classiche, Francesco Minervini, che, dopo aver conosciuto i genitori di Michele, ha deciso di raccontare questa storia, non solo per compiere un’azione civica ma anche e soprattutto per compiere un’azione di giustizia.
Sono passati ormai undici anni da quando Michele, all’epoca quindicenne, è stato ucciso per sbaglio. Era una sera di luglio e lui tornava dal lavoro percorrendo le vie di Bari vecchia, vie a lui familiari, poiché è quel quartiere che lo ha visto crescere. Quella sera, tornava a casa, dove la famiglia lo attendeva per cenare. Ad attenderlo invece, quel giorno, c’era un volto nero: quello di un assassino che con la sua pistola lo ha lasciato lì, a pochi passi dalla sua famiglia, esanime.
Il proiettile non gli lascia neanche il tempo di comprendere. Michele è morto. In quel momento non conta l’errore, in quel momento il dolore è troppo. Il suo corpo, privo di vita, è circondato da silenzio. Solo un urlo dopo lo sparo fa eco nelle strade: abbiamo ammazzato il ragazzo buono. Dopo, niente. La disperazione nel vedere gli occhi privi di vita di un’anima spezzata, una morte prematura a cui segue, inevitabilmente, la sete di verità e di giustizia.
Ricordare e parlarne, questo rende ancora vive le vittime di mafia, questo, rende possibile non abbandonare l’idea di una mafia che c’è e si è radicata nel nostro territorio.
In una Bari che ha visto il susseguirsi, nel giro di pochi giorni, di sette sparatorie, è tanto lecito, quanto importante, raccontare, sia per non dimenticare, sia per denunciare e continuare a parlare di una “cosa umana” che esiste e che bisogna imparare a riconoscere per poterla denunciare e mettere a tacere.
Gli anni passano, con essi non si arresta il fenomeno, anzi, cresce, lasciando tutti nel baratro di un sospetto più che fondato: Michele poteva essere figlio di chiunque, fratello di chiunque, genitore o amante di chiunque. Poteva morire in qualsiasi città, perché nessuna città, in questo momento, è esente da questo problema. Continuare a parlarne, sempre. Poiché attraverso la memoria le vittime di mafia tornano a vivere, attraverso la memoria non è vana la loro morte ed è dunque più facile indebolire i volti neri e desolati di coloro che, per scelta o per costrizione, infittiscono, quella che è, ormai una vera e propria “demomafia”.