Non è stata una gran notte, per quel che ne restava. La tisana da sola non poteva fare molto. E stamattina rivedere il bicchiere lasciato a metà con le piccole bolle lasciate dalla notte, fa solo malinconia. Il mal di schiena è un amico fedele, nei momenti più importanti è sempre con me, e anche i crampi alle gambe, che arrivano puntuali ogni volta che mangio male o cammino troppo, e dunque, praticamente, sempre. La radiosveglia suona sempre quando sono in piedi da un po’, ma almeno se c’è fortuna, prendo un paio di canzoni di quando avevo vent’anni e meno cicatrici. Le solite cattive notizie alla radio, la solita sigaretta nuova, e le spoglie di quella della mattina prima, buttata morta in una tazzina già sporca di caffè, simile a una ragazza lasciata nel sottobosco dal suo assassino. Era una delle mie prime indagini, e una di quelle che sogno ancora. Perchè non ebbe soluzione, come molte cose della mia vita purtroppo. Lei si chiamava Tanya, e chissà cosa avesse fatto per meritare una fine così atroce. Forse è per questo che dopo la sigaretta prendo sempre un bicchiere di Scotch. Solo che nei film americani un poliziotto sa farlo, fa personaggio, e nel mio caso prima o poi mi farà togliere il distintivo. Ma ormai fanno prima a mandarmi a riposare, a dare becchime ai piccioni, come un vecchio. La doccia non è bastata, e allora dopo un secondo caffè amaro, un po’ d’acqua gelida che mi percuota al viso, e mi liberi dal pensiero di Tanya, del suo corpo disfatto, degli occhi supplici, del tanfo tremendo e inutile della morte. Almeno la camicia di oggi è stirata. I pantaloni non ho fatto in tempo a portarli in lavanderia, e hanno ancora macchie di prato. Vado a piedi, abito vicino alla Questura, e appena aprirò il giornale forse troverò un altro volto innocente, una ragazza che non c’è più che ha scelto proprio il mio ufficio, e gli uomini della mia squadra per cercare di dare un nome a chi spezza i fiori.