– Atene o Sparta?
– Democrazia contro oligarchia, schiavitù o libertà, forza o astuzia, imperialismo economico o militare…
– Atene o Sparta?- ripete il mio interlocutore.
– Due sistemi diversi, entrambi vincenti, entrambi affascinanti…
– In fretta, forza, scegli.
– Ciascuno con i suoi pregi e i suoi difetti, per quanto… Atene…
– Vabbè allora ti metto in Atene – taglia corto – gli spartani sono di più e le squadre devono essere equilibrate.
– Squadre?
– Dudi, è il quindici, e stanno semplicemente organizzando i giochi.
Mia moglie, tra gli altri, ha il dono della concretezza e ha subito afferratola situazione. Del resto, Ferragosto, villaggio vacanze, la maglietta che recita STAFF a lettere cubitali, avrei dovuto capirlo da solo: il tizio che ho di fronte è un animatore, non un intellettuale, ed io sono stato reclutato.
– Giocavo anch’io, che credi?- le faccio quando il giovanotto è passato ad agganciare un’altra coppia di ospiti. E intanto mi sforzo di elaborare un’exit-strategy dalla contesa in cui sono stato coinvolto mio malgrado.
– Forza, forza, tutti a confezionare le armi e i costumi, ché oggi ci sarà battaglia!- chiamano a raccolta i due capitani.
Lentamente gli eserciti si radunano e sì, i numeri sono sicuramente a favore di quello spartano. Decisamente Leonida e i suoi 300 ha più fan di Pericle e i suoi filosofi.
– E anche questo è un segno dei tempi -, sospira un distinto signore mentre s’immerge lentamente in piscina. Mi guarda e sorride, deve avermi sentito mentre discettavo dei massimi sistemi e fiutato un suo simile.
Mentre, sdegnando la pazza folla, quello prende il largo nella vasca ormai vuota, le armate si dispongono su fronti contrapposti prorompendo in urla belluine.
– Sparta, Sparta! Atene, Atene! Vinciamo noi! No, noi!
– E tu che fai, non vieni?- gorgheggia mia moglie tutta contenta.
La sua voglia di esserci sempre e comunque ha vinto anche stavolta sulla sua dignità e ora trotterella felice assieme a pingui signori e discinte signore in direzione del solarium, laddove si trova la fucina degli eroi di questa guerra da operetta.
– Un tuffo, solo uno, e sono da te- rispondo mentre già sono a mezz’aria.
Riemergo, e della consorte scorgo a malapena le terga perse tra rotondità sicuramente meno armoniose delle sue.
– Pericolo scampato, non è vero?- mi fa l’altro occupante della vasca.
Gli sorrido anch’io.
– Piacere, Alfonso – e omette di dirmi il cognome. Siamo entrambi fuggiaschi e non c’è tempo per i convenevoli, il capo villaggio è tornato indietro alla ricerca dei dispersi e ora punta su di noi.
– Dai, dai, non fate i lavativi- abbaia.
Mani sui fianchi e fiero cipiglio sembra il sergente istruttore di Full Metal Jacket.
Guardo il mio compagno e insieme ci rendiamo conto di non avere scampo. Ogni via di fuga c’è preclusa e un rifiuto a questo punto suonerebbe diserzione aperta, con la conseguenza di essere esposti al ludibrio dell’inclita legione dei vacanzieri e dello STAFF per tutto il tempo della nostra permanenza.
– Ok, tanto tra due giorni vado via- si arrende Alfonso.
A me non resta che seguirlo e a capo chino raggiungiamo la scalmanata moltitudine che già si disputa ago, filo e cartapesta.
– Tu con Sparta, e tu con Atene – fa il furiere che sovrintende all’armeria.
Vengo così separato da Alfonso con cui scambio un ultimo e doloroso sguardo. In altri tempi e in altri luoghi avremmo potuto tessere una bella amicizia ma le dure esigenze della guerra ci hanno separato e ora dovremo affrontarci sul campo di battaglia.
Mi ritrovo, con mio sommo disappunto, in mezzo a quelli di Sparta ricoperto da un’improbabile armatura e dipinto con pennarelli acrilici per rendere il mio aspetto più aggressivo.
Il risultato in realtà deve essere assai poco marziale perché il mio caposquadra mi sospinge nelle retrovie scegliendo per i giochi baldi ragazzotti, già tatuati di loro.
Retrocesso al rango di figurante, mi limito a osservare con orrore gli uomini sventrare cocomeri con le mani legate dietro la schiena e le donne gareggiare in balli di gruppo, mentre in tutto il villaggio si scatena una parossistica caccia al tesoro.
Una guerra, senza esclusione di colpi, e con tanto di vittime. Presto, infatti, qualcuno cede ai conati di vomito, qualche altra scivola mentre azzarda un passo più rischioso degli altri, altri ancora si perdono nella ricerca e non fanno più ritorno.
I bambini, intanto, scalciati dalle madri e scacciati dai padri, cominciano a piangere disperatamente.
Ma la lotta va avanti, e sono ancora feriti e contusi, e ancora, urla, lamenti, spintoni fino a che una pietosa sirena pone fine alla contesa.
Sul campo restano croste di angurie che veleggiano in rigagnoli di bile e qualche goccia di sangue, ed io, impietrito nella mia corazza di cartone, che non riesco a muovere passo e proferir parola.
Tutto è finito, la parola passa alla giuria che decreta, dopo sommaria consultazione, la vittoria di Atene.
– La nemesi storica è compiuta – mi sussurra Alfonso comparso inopinatamente alle mie spalle, libero dell’armatura che ha gettato alle ortiche appena iniziate le ostilità.
Mi scuoto e gli sorrido ancora una volta, grato di avermi riportato alla realtà.
– A proposito, D’Angelo, professor Alfonso D’Angelo, piacere!