La fucina di Hollywood è un generatore di cultura Pop. Oramai il super-eroe, prima attraverso la prepotente diffusione iconografica del fumetto, dalla seconda metà del ‘900 vero e proprio medium artistico ed espressivo, dopo grazie al contributo della tecnologia cinematografica, nella quale ha raggiunto il suo status, è diventato un mito moderno. Ma è davvero così, o è il solito luogo comune? Cos’è in realtà un mito?
La parola “mito” deriva dal greco mythos, che etimologicamente ha vari significati, e i più comuni sono “parola” e “racconto”. Il termine “mitologia”, invece, designa l’insieme dei miti di un popolo o di una civiltà. Il mito viene considerato come la più grande e ricca fonte d’informazioni della storia umana. Per analogia, tanto per intenderci, abbiamo Ercole e Spiderman, il pantheon (la totalità degli dei, o comunemente il tempio) e il fumetto (i racconti delle gesta incredibili dei super-eroi). Che vi piaccia o meno, sia nel bene che nel male, il super-eroe ha plasmato e segnato l’immaginario collettivo di gran parte della gente che popola il pianeta. Un po’ come il Rock. Un po’ come Armstrong sulla luna. Un po’ come Papa Wojtyla. Siamo insomma circondati da Miti, la nostra era, anch’essa, è mitologica.
Nessuno, nemmeno io, vuole in poche righe fare un’antropologia al riguardo. Cercherò invece di svelarvi la contraddizione insita nel super-eroe, e non nel mito.
Per rendere la cosa notevolmente pragmatica risalgo di qualche riga, riprendendo Ercole (o Eracle) e Spiderman, per il semplice fatto che entrambi sono tra i personaggi più comuni e iconograficamente più celebri: Ercole è un Dio, Spiderman no; Ercole lo è diventato, Spiderman non lo sarà mai; Ercole è immortale, Spiderman resterà un mortale. Ercole appartiene a una dimensione sovrumana, perché è una divinità ed è immortale; Spiderman a una dimensione super-umana, o extra-umana, perché è un mutante, ha dei super poteri che ha ricevuto in dono in modo accidentale (non come Ercole, figlio di un parto semi-divino, tra Zeus e una fanciulla umana), ma condivide con gli uomini la mortalità. Queste, in realtà, sono differenze veniali. La principale è quella di carattere cosmologico, precisamente mi riferisco a quella disciplina che gli antichi greci designavano, in filosofia, per poi rifiutarla e condannarla con la logica platonica-aristotelica, perché appartenente ad un linguaggio poetico-mitologico (come quello di Omero), col termine Cosmogonia.
Con Cosmogonia intendiamo le origini dell’universo, o la nascita del cosmo. La differenza sostanziale tra la dimensione divina (o sovrumana) e quella superoistica (o extra-umana) è che nella prima vi è sempre una Cosmogonia, la seconda sembra addirittura rifiutarla. Infatti le vicende degli Dei contribuiscono alla creazione dell’universo, e avvengono proprio in quell’universo che loro stessi hanno generato e plasmato. Il super-eroe invece si prodiga per l’umanità in un universo già esistente, che è impossibilitato a plasmare e quindi a cambiare. Inoltre questo Cosmo è del tutto ideale, nel senso che è rintanato, situato in un passato, appunto, mitico, in cui i mortali non possono e non potranno mai esistere; che si rivela a noi attraverso il racconto, attraverso l’epopea, attraverso l’epica; che è religioso, a-storico, eterno, immateriale, e quindi idea di riferimento come mezzo interpretativo e di de-storicizzazione; che è una guida, che istituisce la civiltà, l’identità e la cultura di un popolo; inaccessibile alla razionalità umana ma imprescindibile come oggetto razionante, ente pensabile del mondo e dell’universo. Un passato, insomma, che spiega e certifica l’operato dell’uomo, che gli dà senso e significato, e senza il quale ogni gesto umano non avrebbe modo d’esistere.
Il super-eroe, invece, non spiega nulla, per il semplice fatto che egli non è ideale o simbolico, ma potenzialmente reale, perché il suo “dono” ha l’alibi dell’accidente, cioè un qualcosa che a chiunque può succedere; perché è mortale, rischia in ogni istante di morire, quindi è uno di noi; è situato sempre in un’epoca presente, passata o futura, ma non per questo non vissuta o non vivibile dagli uomini; rifugge da ogni statuto religioso, mitico o epico; non è eterno. Solo qualcosa che appartiene a un passato inamovibile e ideale come il Mito può spiegare il presente, e fornirci i mezzi interpretativi per farlo. Il paradosso, o la contraddizione, si insinua nella sua natura ontologica: un qualcosa potenzialmente reale non significa che sia reale. Il super-eroe ci fornisce una parvenza di realtà, ma non è la realtà. Una natura super è in realtà, per noi, niente, perché non esperibile, sta altrove o al di là dell’esperienza umana. Detto in briciole: il mito non verrà a salvarci, ed è proprio per questo motivo che è una guida; il super-eroe non è una guida e pretende di salvarci, ma chi spera in un super-eroe spera invano. Cioè, noi non siamo super, e ciò che è super non spiega noi.
Quindi il Mito, a suo modo, spiega il presente e ci indirizza al futuro in modo del tutto speculare, aspira ad uno statuto etico perché il suo oggetto di conoscenza è il comportamento umano, quindi necessario; il super-eroe si realizza eternamente nel presente, non può spiegare nulla perché l’inspiegabile è insito nella sua natura ontologica, ed è fallace perché mortale, quindi impossibilitato a fornire speranze per il futuro. Il mito è uno strumento ermeneutico, il super-eroe è un placebo.
Per capire il mito moderno, e distinguerlo da quello classico, dobbiamo solo riferirci all’eroe, senza il prefisso super, e consegnarlo alla sua vera natura, cioè quella tragica. Il mito moderno è un mito tragico. Proprio come prima, partiremo da un altro esempio, stavolta di natura diversa: la contrapposizione Gilgamesh/Batman.
Perché proprio loro? (to be continued…)