Sobrietà e serietà, le parole chiave nel mondo dell’arte quest’anno sono loro. Le ha urlate a gran voce Alberto Barbera, direttore della 69esima edizione della Mostra Internazione d’Arte Cinematografica, più volgarmente conosciuta come Mostra del cinema di Venezia, in quest’anno di “crisi”, e le ha ripetute sottovoce anche Andrea Tomat, presidente di Confindustria Veneto e portavoce del Premio Campiello.
Nella sua 50esima edizione, la manifestazione letteraria, seconda in Italia dopo il Premio Strega (ça va sans dire!), ha visto premiare l’opera di Carmine Abate “La collina del vento”, edita Mondadori, con 98 voti su 273, tutti frutto della dei lettori. A seguirlo nomi quali Francesca Melandri, Marcello Fois e Marco Missiroli, anch’essi premiati con non pochi voti dai lettori – giudici di quest’anno. Già perché il Premio Campiello, a differenza del più celebre Strega, ha, nella modalità di selezione delle opere e di assegnazione dei voti, un non so che di democratico, dove per democratico in letteratura intendiamo la naturale selezione di opere da parte dei fruitori che ne decretano corposità e bellezza. Non vi sono giurie super partes né giurie di esperti, né quelle miste, né la possibilità di tele votare da casa, a decidere il vincitore tra i vincitori è una giuria composta da soli lettori chiamata appunto Giuria dei Lettori. Le opere inizialmente selezionate da un manipolo di critici vengono sottoposte al giudizio della Giuria dei Trecento (composta da 300 lettori selezionati sulla base di differenze sociali, anagrafiche e culturali), quella dei lettori appunto, che decreta così tra i 5 scritti selezionati il vincitore assoluto. Quasi una novità per noi piccoli lettori abituati a veder innalzati a scrittori, autori qualunque con libri qualunque, poco meritevoli e dalla fuga facile!
La sobrietà così ambita nel mondo della cultura dovrebbe dunque far ritornare al senso delle cose, al significato puro, quello della parola arte, quello che aiuti a ritrovare qualità e spessore, nel cinema come nella letteratura; c’è bisogno di una crisi economica così profonda per eliminare fronzoli e sfarzi estetici e porre austerità e profondità? Non facciamo di necessità virtù, piuttosto di valori obiettivi.
Che si possa ricominciare a sperare di vedere promossi scrittori meritevoli? Dopotutto non attendiamo che questo, scegliere un buon libro, sederci a gustarlo e chiuderlo continuando a sognarne volti e luoghi.