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Un amore senza tempo: “La signora delle camelie” di A. Dumas (figlio)

6 Marzo 1853: al teatro “La Fenice” di Venezia va in scena La Traviata, opera in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave.

La prima, tuttavia, non riscosse successo e furono necessarie modifiche e rifacimenti, sopratutto del cast, con l’ingaggio di interpreti più validi. Solo l’anno successivo, La Traviata ottenne il riconoscimento e il trionfo sperato e -senza dubbio- meritato.

Più che il libretto, è la partitura di Verdi a innalzare l’amore struggente tra Violetta Valery e Alfredo Germont. La fonte letteraria, su cui ha lavorato Piave, è la piece teatrale di Alexandre Dumas (figlio), La signora delle camelie.

Il celebre romanzo di Dumas, pubblicato nel 1848 e successivamente riadattato in opera, fu rappresentato a Parigi nel 1852. Racconta l’infelice amore tra Margherita Gautier, una delle cortigiane più belle e desiderate di Parigi e Armando Duval.

Margherita è una cortigiana colta, frequenta teatri, è intelligente e indipendente. Vive nel lusso che i suoi ricchi amanti le permettono, ammaliati dalla sua sensualità. Le camelie, che la donna porta con sé di sera, se bianche indicano la sua “disponibilità”, se rosse la sua “indisponibilità”.

Margherita è cinica e disillusa, non conosce l’amore vero, quello che si avvinghia all’anima, ma solo l’amore carnale, quello che si nutre di poco per svanire il mattino successivo.

Armando è un giovane borghese, romantico e insicuro. Appena vede Margherita se ne innamora follemente, scorgendo nell’apparente spavalderia di una donna che svilisce corpo e anima, una dolcezza e una solitudine mai scorti prima.

Con la pazienza propria solo degli innamorati, Armando riesce a far breccia nel cuore duro di Margherita, le mostra l’amore puro e gratuito e riesce ad allontanarla dalla sua vita/non vita. Per un po’ di tempo i due giovani si ritirano in una casetta in campagna, nutrendosi solo l’uno dell’altro.

Tuttavia, un simile legame non poteva essere tollerato dalla società dell’epoca (non sarebbe tollerato nemmeno nella nostra epoca) e così il padre di Armando, che ormai aveva speso per Margherita tutti i suoi risparmi e trascurato tutti i suoi doveri, interviene per salvare l’onore e il decoro della famiglia. Non riuscendo a convincere Armando, indirizza così una lettera alla bella Margherita, che è uno dei passaggi più belli e struggenti del libro.

Attraverso le parole accorate di un padre affranto, Margherita compie il sacrificio supremo: rinuncia all’amore, l’unica cosa bella e autentica della sua vita. Armando, abbandonato e all’oscuro di tutto, passerà i mesi successivi a vendicarsi della donna, sottoponendola a crudeltà di ogni sorta.

Dumas porta così alla luce i nobili sentimenti di una donna, intrappolata in una vita che non la rappresenta. Una donna che morirà sola, con il cuore pieno di dolore e di angoscia; una donna che è stata capace di sacrificare se stessa per amore di un altro.

Lo scrittore, per il personaggio di Margherita, si è ispirato a una donna realmente esistita: Alphonsine Plessis, la cortigiana più famosa della Parigi di Luigi Filippo, morta di tisi ad appena ventitrè anni. La tomba nel cimitero di Montmartre, lo stesso nel quale riposa Dumas, è tutt’ora meta di pellegrinaggio e la sua figura è ormai un’icona romantica che sopravvive nel tempo.