Sia benedettu ci chiantau la vigna
ha profumau tutta la campagna
puru l’augelli volenu mangiare
lu fruttu sapuritu ca te fa sanare.
Questo è il principio dell’inno alla natura, “La vigna”, che Cici Cafaro ci riporta in uno dei suoi canti. L’opera è una storia di vita, che racconta, attraverso una narrazione autobiografica, le straordinarie abitudini dell’area grica salentina.
Questa zona, di enorme interessa linguistico e culturale, ha prodotto uno dei più suggestivi mix artistici mai riscontrati nella nostra penisola per quanto riguarda la produzione folkloristica dialettale.
L’autore, musicista, poeta popolare ed “animatore culturale”, come viene definito da chi lo conosce, non nasce in studioli ricolmi di volumi, ma trae la propria ispirazione dall’esperienza quotidiana della vita, dalle arti e dai mestieri del background in cui è immerso, quello del Salento.
Questa autobiografia, curata da Eugenio Imbriani, condensa nel suo spirito di ricerca etnoantropologica, punti cruciali come il passaggio inevitabile dall’oralità alla scrittura, la tipica presa di coscienza da parte degli informatori (gli intervistati) di far parte di un panorama narratologico, il ruolo di questi attori all’interno dei fenomeni del revival.
Imbriani, che già si è occupato di descrivere personalità influenti per la cultura come accade in questo progetto, aveva dedicato a Cafaro una riflessione riguardante il rapporto tra memoria e oblio; nel cuore della provincia di Lecce, con alcune decine di comuni annessi, molti parlanti utilizzano ancora un dialetto di origine greca (il “grico” appunto).
In particolare quest’opera, corredata anche di CD audio con 21 canti, vuole essere un importante riconoscimento tributato a tutti coloro che, in numerosi anni di interviste e ricerche scientifiche, hanno elargito il loro sapere a studiosi non sempre riconoscenti, e troppo spesso affamati di notorietà: essi venivano chiamati pittorescamente dal De Santis “logoclopi”, ladri di parole.
Un uomo eclettico, fuori dalle righe, che non ha mai pensato di essere un eroe, né tantomeno un letterato dalle grandi pretese, poiché semi-analfabeta; egli ha saputo incarnare la storia di un intero popolo, preservandone la memoria e raccontandone la vita quotidiana nel modo in cui sapeva farlo meglio, cantando.
Ce me tremula lu core comun a canna
Tantu ca aggiu guardare sta bella donna
Ca na cucchia de zitelle vui tenite
Ca la luna fa la ronda e vui durmiti.