La calamita a forma di zucca sul termosifone. Marco aveva un tono trionfale.
E’ uno dei giochi più noiosi che abbia mai fatto e poi qui non c’è proprio un bel niente di arancione. Clara sbuffò e si guardò intorno distrattamente. Notò che sulla scrivania del padre appena illuminata dal sole c’era un libro con la copertina arancione. Si avvicinò camminando scalza e lesse il titolo: Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Restò in silenzio. Non aveva voglia di continuare a giocare e ripiombò di nuovo sul divano. Si distese, dando le spalle a Marco, il suo naso quasi sfiorava i cuscini dello schienale su cui compariva una piccola macchia arancione. Era succo d’arancia che aveva fatto cadere Marco, ne era sicura.
Benedetto Iddio, ti annoia tutto. Non ti va bene mai niente. Allora trovala tu una bella idea, visto che non possiamo vedere la T.V prima delle otto ! Marco si toccò la frangia, aveva lo stesso tono di chi è in seria apprensione per le sorti del prossimo.
Idiota non bestemmiare. La prossima volta dico tutto a mamma.
Gli occhi di Marco si riempirono di lacrime, come capitava ogni volta che qualcuno lo rimproverava. Trattene su con il naso. Benedetto Iddio non è una bestemmia.
Non sei tu a deciderlo. Io ho quattordici anni e ho letto la Bibbia che tu non puoi conoscere perché sei troppo piccolo e non hai ancora fatto la Comunione. Comunque sia, mi sembra che fino ad ora tu non hai trovato nulla di arancione se non quella calamita arrugginita.
Clara provava una certa soddisfazione quando riusciva a ricordare a suo fratello di essere più grande. Decise di chiudere la frase con uno sbadiglio che le venne molto bene. Aveva sbadigliato intenzionalmente per dimostrare il suo profondo senso di noia rispetto a quel gioco puerile che si era inventato Marco: quinta elementare, viso pieno di lentiggini, capelli a caschetto, biondi come quelli di una femminuccia e lacrima facile.
Veramente hai tredici anni e mezzo. La voce di Marco adesso era strozzata.
Ok. Ho tredici anni e mezzo come vuoi tu; in ogni caso non posso perdere tempo con certe scemenze. Comunque se proprio devo. Di arancione oltre alla copertina del libro di papà, c’è anche la macchia di succo di arancia sul divano -che tra parentesi è opera tua- e siamo due a uno per me. Si alzò e si mise a cavalcioni sul divano, dando uno sguardo attento a suoi seni che non si decidevano a crescerle. Era l’unica della classe a non portare neanche la prima di reggiseno e se ne vergognava da matti.
Non vale, puoi nominare una cosa alla volta e non due alla volta. Quindi siamo uno a uno. Adesso tocca a me. Marco si guardò attorno con una diligenza che sembrava avere un non so che di mistico, eppure iniziava a sentire come una specie di martello battergli sopra la pancia: si stava rendendo conto che di arancione non c’era neanche l’ombra. Era onestamente allarmato. Quel soggiorno era un miscuglio di colori diversi, ma di arancione non riusciva a vedere niente. Intravedeva appena dietro le spalle sottili di Clara la macchia di succo (poteva giurare su stesso che non ne sapeva nulla), ma non poteva utilizzarla perché era certo che sua sorella se ne sarebbe uscita con un già l’ho detto io, non vale. Sospirò, si sentiva attimo dopo attimo in seria difficoltà e la sua difficoltà era ben visibile sulle labbra della sorella che adesso sorrideva nella sua solita maniera odiosa e indisponente.
Hai tre secondi. Io già ho pensato ad un’altra cosa. Se lo ritieni opportuno (Clara adorava dire se lo ritieni opportuno, si era messa in testa che le donasse un certo charme) arrenditi.
Marco avrebbe voluto dirle che la madre aveva ragione quando diceva: a Clara i giochi stanno bene solo quando vince. Ma prima che riuscisse a dire qualunque cosa arrivarono due lacrime a bagnargli le guance lentigginose.
Uno…due… e tre, ho vinto. Clara saltò giù dal divano e corse verso la finestra.
Non vedi fuori? Stupido che sei! Non lo vedi il sole? Il raggio di sole arancione che illumina la peonia nel giardino? Clara spinse Marco e gli afferrò il gomito.
Muoviti. Andiamo in giardino. Fuori tirava un vento caldo. La signora Smilla camminava nel viale con il suo cane lupo.
Marco alzò gli occhi verso il raggio di luce arancione. Smise di piangere. Clara gli strinse forte la mano, le venne in mente il nome del libro arancione sulla scrivania del padre. Tutti e due fermi davanti al davanzale di casa, scalzi, sfiorati appena dal sole, con il vento in faccia si sentirono come possono sentirsi solo un fratello e una sorella.