Siamo nel 1956. Dopo Ossi di seppia e Le occasioni, viene pubblicata un’altra raccolta di componimenti poetici. La firma, prestigiosa e autorevole, è quella di Eugenio Montale.
La silloge, composta di sette parti, comprende poesie scritte tra il 1940 e il 1954. L’autore voleva chiamarla inizialmente Romanzo, ma il titolo definitivo è La bufera e altro: l’impressione che si vuole trasmettere è quella di una struttura aperta, indeterminata e disordinata. Una struttura che, ovviamente, rispecchia il clima di profondo pessimismo e amara consapevolezza che la guerra – ma anche il suo post – portano con sè.
Eppure permane il carattere distintivo connotato dal primigenio titolo della raccolta. Permane quel sapore di romanzesco, che fa del libro poetico quasi una novella Vita nuova, in cui si mescolano i segni del tempo e la figura della donna salvatrice di stampo dantesco e stilnovista.
La donna: protagonista di tanti componimenti, portatrice di simboli dolci, leggiadri, sublimi, ma anche – in altre occasioni – figura afferrabile, vicina, quasi carnale. È, di fatto, il “tu” con cui il poeta dialoga più spesso. La donna-angelo, a cui si riferivano anche alcune poesie delle Occasioni, è Clizia (che cela l’identità della studiosa americana Irma Brandeis); a essa si alterna la presenza, certamente più vicina, di Mosca; infine, l'”AntiBeatrice”, Volpe, che si riferisce al reale personaggio della poetessa Maria Luisa Spaziani.
La bufera è altro reca il marchio forte e, oseremmo dire, maturo, del pensiero e dell’ideologia del Montale poeta: poeta della modernità, della sua follia e dei suoi ritmi assurdi, nei quali l’uomo cerca con tutte le proprie forze un barlume di razionalità. I componimenti poetici partono dal dato storico e assurgono a simbolo: gli anni atroci della Seconda Guerra Mondiale sono il segno palese di una condizione esistenziale dominata dal disagio. È, in ultima istanza, “quel male di vivere” che ha consacrato ai posteri la fama di Eugenio Montale.
Le sette parti in cui è divisa l’opera – Finisterre, Dopo, Intermezzo, “Flashes” e dediche, Silvae, Madrigali privati e Conclusioni provvisorie – affrontano temi disparati. Attraverso una sintassi ostica ed una metrica “oscura”, Montale disegna le immagini del volume, tra apparizioni improvvise di donne e paesaggi desolati, uomini che simboleggiano un’umanità umiliata e ricordi privati (su tutti spicca A mia madre, tenera quanto inquietante omaggio alla madre morta). E ancora il mondo animale, con cui il poeta si sente quasi solidale e in cui vede lo specchi della condizione umana. Celebre L’anguilla:
[…] l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
L’autore si rivolge qui a Clizia, ed il messaggio, seppur in un contesto “desolato”, è di speranza. L’anguilla è “l’anima verde che cerca vita là dove solo morde l’arsura e la desolazione”: è l’estremo tentativo del poeta per salvare la Poesia dopo l’orrore della guerra e l’illusione del dopoguerra.