Non avevo mai affrontato una lettura del genere: si tratta, infatti, di una raccolta di casi neurologici, di strane storie che raccontano persone affette da gravi patologie del cervello, attraverso le quali, nonostante le menomazioni e l’apparente anormalità, si dispiega una riflessione etica e filosofica che diventa intensa e articolata. La perdita di una o più facoltà, che siamo abituati a dare per scontate, provoca la ricerca di una compensazione; essa si manifesta talvolta con lo sviluppo di qualità già presenti nell’individuo, come l’attitudine al calcolo o al disegno, altre volte ciò che compensa la malattia è la straordinaria forza di volontà di chi ne è affetto, che lo conduce, se non alla guarigione, al mantenimento di un’esistenza dignitosa e possibilmente felice. Il libro è suddiviso in quattro parti, ognuna delle quali comincia con un’introduzione storica e clinica del tipo di patologia che ci si avvia a trattare; in ognuna delle quattro parti troviamo singoli racconti di casi che il dottor Sacks, autore del libro, ha incontrato nel corso della sua carriera.
Attraverso l’analisi di questi casi, Sacks spinge il lettore, lo obbliga a chiedersi se queste malattie vadano curate, nel senso comune del termine (se vadano eliminate, smaltite), o se piuttosto vadano ricercati in ogni patologia un senso e significato più profondi, qualcosa che dia la possibilità ai pazienti di fare della propria patologia un nuovo modo di vivere, diverso ma non per questo sbagliato. Non sono in grado di dire a che punto fossero i progressi scientifici e medici nel 1985, anno di uscita del libro, perché a quel tempo non ero ancora nata e in più non sono molto ferrata in questo campo, ma l’interrogativo che percorre l’opera mi pare molto moderno: per quale motivo dovremmo considerare coloro che soffrono di malattie della mente come persone socialmente inferiori? Perché chi è “sano di mente” dovrebbe essere una persona migliore, giusta, normale? Il dottor Sacks invita alla ricerca di una scienza umana, che tragga dagli schemi, dalle formule e dai procedimenti logici l’ispirazione per studiare i pazienti uno ad uno come casi speciali, come entità dotate di sentimenti, di volontà e di passioni, e per ricercare la cura non tentando di “aggiustare” la patologia, ma provando a comprenderla nel profondo come parte integrante di chi ne soffre.
L’esempio che, secondo me, illustra perfettamente questa idea, è il capitolo XXIII, intitolato “I gemelli”. Tratta appunto di due gemelli affetti da autismo in grado di dichiarare con sicurezza in quale giorno della settimana cadeva una data nell’arco di ottantamila anni e dotati di una smisurata memoria documentaria: ricordavano tutto ciò che era successo, giorno per giorno, da quando avevano quattro anni. Essi avevano un modo singolare di comunicare tra di loro, ossia tramite numeri primi. Ci prova anche il dottor Sacks, munito di una tavola che riporta i numeri primi fino a dieci cifre; ma i gemelli vanno oltre. Quando ormai non è più lui a seguire il loro caso, altri specialisti decidono di separarli per cercare una cura adatta: in effetti, divisi, i due gemelli acquistano una certa autosufficienza, imparano a prendere il tram. Tuttavia, viene meno la loro passione per i numeri, la loro complicità basata su cifre condivise come se fossero parole. Perdono, cioè, la loro caratteristica speciale, ciò che li aveva resi tanto interessanti agli occhi di Oliver Sacks e che l’aveva spinto a inserirsi nella loro eccentrica forma di comunicazione. Emerge, da parte dell’autore, un giudizio parzialmente negativo su questa cura, così lontana dalla sua aspirazione a una scienza umana.
L’argomento de “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” è complesso, soprattutto per chi, come me, vi si approccia da profano. Eppure, la scrittura di Sacks è così lineare e limpida, una volta superato l’ostacolo dei numerosi termini tecnici (spesso comprensibili a partire dal contesto), che il testo si rivela per nulla ostico. Anzi, la passione che, è evidente, il dottore mette nel suo lavoro dà al racconto una tensione a tratti quasi romanzesca. È un libro che dà ispirazione e lo consiglio a tutti come lettura non usuale, per spaziare un po’ in tutti i campi della cultura e affacciarsi anche su quella, perché no, scientifica.