Rose calpestava nel suo delirio
e il corpo bianco che amava.
Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo invano di creatura.
Rose calpestava,
s’abbatteva il pugno
e folle lo sputo
sulla fronte che adorava.
Feroce il suo male
più di tutto il mio martirio.
Ma, or che son fuggita,
ch’io muoia,
muoia del suo male.
Sibilla Aleramo
L’amore è una storia che non sempre finisce bene. Anzi, quasi mai.
All’inizio ci sono solo boccioli di un colore tenue e delicato, ogni cosa sembra perfetta, fragile e allo stesso tempo forte alla radice, stabile nella sua nascita. Poi, con il tempo, con i giorni, con i mesi, con gli anni, il bocciolo di rosa fiorisce, i colori si accendono ed esplodono in tutto il loro vigore e in tutta la loro lucentezza; ogni petalo cattura gocce di brina, se le tiene poggiate addosso, riflettendo la luce del sole e i colori di ciò che la circonda, come fa una donna con una collana di perle, che pur essendo solo un ornamento non fa altro che catturare lo sguardo di chi vi passa accanto. Così è l’amore quando raggiunge l’apice, no? Le persone ti passano accanto e provano un po’ d’invidia, perché l’intensità è talmente abbagliante da essere notata anche da lontano. Quando due persone si amano, si vede, anche se è pura follia. Come Dino Campana e Sibilla Aleramo. Vi ho già parlato di loro, tempo fa. I due poeti che si sono lasciati consumare dall’amore, se lo sono fatti entrare dentro, fino alle ossa, e noncuranti del veleno che stavano respirando si sono lasciati andare alla passione più nera, quella che brucia tutto troppo in fretta e non lascia più tracce. Quella che dilaga e distrugge entrambi, e alla fine … nessuno dei due sopravvive. Mi piace leggere Sibilla nei momenti di difficoltà, quelli dove comincio a dubitare dell’esistenza di qualcosa di vero, di autentico. Ma le sue poesie sono così cariche di vita, così tormentate che sembra impossibile pensare che “quella cosa” non esista. Le rose sono sempre state una sorta di simbolo per la coppia di poeti, ne scriveva lui e ne ha scritto lei. E questa che oggi vi presento, è la poesia dell’Addio, gli ultimi versi dedicati all’ultimo stadio dell’amore, ai petali appassiti di quelle che un tempo erano state rose rosse infuocate, i cui petali, adesso, sono solo un rosso spento, quasi marrone, senza più luce e solo da buttare e calpestare. Nei versi è evidente che oramai la follia di Dino è dilagante e per quanto lei cercasse di salvarlo, sapeva che le soluzioni erano due soltanto: precipitare nell’abisso più nero con lui, o troncare e sopravvivere. E poiché sono le donne le più coraggiose è stata Sibilla a porre fine a quella storia; il suo corpo martoriato da lividi, il suo cuore coperto di graffi, e i suoi occhi tanto gonfi di pianto da non vedere altro che rose calpestate sul pavimento, l’hanno portata ad abbandonare l’amore della sua vita a se stesso. Ha lasciato che si perdesse da solo, nella sua follia, pur trattenendolo nel cuore fino alla fine della sua vita e fino alla fine dei suoi versi appassionati. La forza di Sibilla risiede proprio qui: nel suo coraggio e nella sua forza, nella volontà di non volersi mai piegare alla distruzione che propugnava il suo amato. Ma l’amore non dovrebbe distruggere.
La poesia, così come le lettere che si scambiavano i due poeti, si trovano all’interno della raccolta “ Un viaggio chiamato amore”, che racconta attraverso versi appassionati e tormentati la storia d’amore dall’inizio fino alla fine, che avviene dinanzi i cancelli di un manicomio, all’interno del quale Dino Campana cominciò a morire.