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“Aracoeli”, il congedo di Elsa Morante

Elsa Morante, una delle voci femminili più forti della letteratura italiana.

Ha fatto sentire nei suoi libri tutta la sua passione, la sua voglia di rapporti totalizzanti. Si è data tutta alla scrittura e alla letteratura, e non solo perchè è stata la compagna di una vita di un’ altra colonna della storia letteraria novecentesca, Alberto Moravia.

Anche nell’ultimo romanzo, come negli altri, c’è tanto di lei.

È Aracoeli, l’estremo libro, forse troppo a lungo sottovalutato, della Morante. Iniziato nel 1976 e pubblicato nel 1982, il romanzo segna il definitivo abbandono di ogni illusione positiva sul mondo. Impossibile il recupero di una realtà autentica, impossibile assegnare un valore costruttivo alla forza della scrittura. Nonostante, ancora una volta, di essa si serva per l’ultima volta, l’autrice ne fa strumento per comunicare una visione del mondo disillusa e negativa. L’incombere della vecchiaia e le vicende pubbliche dell’Italia degli anni ’70 costituiscono le fondamenta di quest’atteggiamento.

Scritto in prima persona, il romanzo segue il faticoso percorso di un ritorno alle origini, su cui si staglia però l’ombra minacciosa della morte: a parlare è Emanuele, mosso dall’ossessiva ricerca dell’immagine di Aracoeli, la madre andalusa morta quando egli era ancora bambino.

Mia madre era andalusa. Per caso, i suoi genitori portavano, di nascita, l’uno e l’altra, il medesimo cognome MUÑOZ: così che lei, secondo l’uso spagnolo, portava il doppio cognome Muñoz Muñoz. Di suo nome di battesimo, si chiamava Aracoeli.

È l’incipit del romanzo, che inizia nel nome della madre e finisce nel segno della morte.

Siamo nel 1975 ed Emanuele, spinto dal richiamo primigenio della madre, intraprende un viaggio in Andalusia, terra d’infanzia della donna di cui il protagonista va alla ricerca. Tra i ricordi dell’infanzia e i pensieri, dubbi e tormenti della maturità, si snoda così un vero e proprio viaggio nella memoria: si ricostruiscono le tappe del matrimonio tra Aracoeli e il padre di Emanuele, l’infanzia felice del bambino, a cui successivamente un male incurabile al cervello ha sottratto la madre. Con dolore, ricordi nitidi e sfumature si sovrappongono ad immagini del presente che, nella realtà esterna e negli essere umani, portano alla luce una coscienza ed un animo che non riescono a trovare pace.

Tra mamma e figlio si frappone minacciosa la figura di Manuel, fratello di Aracoeli, che appare come un vero e proprio alter ego del protagonista. È lui che, probabilmente, la madre ha amato più del figlio.

Attraverso una lingua mai equilibrata, sempre porata all’eccesso, Elsa Morante costruisce una delle più belle storie della letteratura italiana sul rapporto tra madre e figlio, terreno sempre fertile di considerazioni  e suggestioni di stampo psicologico e psicoanalitico.

La ricerca disperata da parte del protagonista, desideroso proprio come un bambino di amore e tenerezza, si risolve in un succedersi di immagini negative, rivelazioni costanti di una distanza che non si è mai colmata, testimonianza di una degradazione che ha colpito violentemente il fisico e l’anima della donna-madre: la quale, da simbolo universale di sicurezza e speranza, assurge in questo straordinario romanzo a simbolo di una condizione esistenziale dominata dalla finzione e dalla morte.