19 Agosto 1991, Tiziano Terzani è investito dalla Storia mentre sta viaggiando su di un fiume, sta partecipando ad una spedizione sull’Amur, confine tra la Cina e l’Unione Sovietica, e osserva la fine d’un mondo, lo sfaldarsi d’un ideologia, vive un rovinoso conflitto interiore assistendo alla rovina d’un Paese. È dalla radio che arriva una notizia che ha il suono e gli effetti del boato d’una bomba: un tentativo di putsch (un golpe) ai danni del presidente Gorbačëv a Mosca. Nonostante il coinvolgimento di membri del KGB il putsch non va a buon fine, segna tuttavia l’inizio del disfacimento inarrestabile della rossa Unione Sovietica.
Uno dei giornalisti più grandi che la storia recente italiana ricordi si trova ad un bivio, l’unica scelta possibile per lui è quella di abbandonare la spedizione per potere vedere dal vero cosa stia accadendo, ma come farlo? Raggiungere immediatamente Mosca ed andare dritto al cuore della vicenda, o seguire un’altra via? Terzani, inviato d’altri tempi, decide di risalire all’Ovest attraverso le varie repubbliche socialiste sovietiche, passando sul cadavere, in senso quasi letterale, del totalitarismo, delle sue ombre, del suo disfacimento, attraversando la Siberia, il Kazakhstan, Kirghizistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan, la mitica Samarcanda, ed altri ancora, puntando verso il cuore di un sogno fattosi incubo, oramai sul punto di smettere di battere. Da questo strano viaggio lungo due mesi nascono appunti, impressioni, note, fotografie: ancora una volta l’uomo, il reporter è al centro degli eventi, li racconta con l’autorevolezza del professionista e, al contempo, con il filtro di chi deve cedere di fronte al fallimento epocale d’un mostro generato da una farfalla. Le idee d’uguaglianza e solidarismo che avevano animato coloro i quali avevano creduto nel miracolo comunista, scontratesi con una realtà d’appiattimento, morte e soggiogazione. Talmente abituati alle imposizioni del regime, da stupire Terzani con la freddezza con la quale accolgono la notizia, i diversi popoli via via dichiarano la propria indipendenza e, con una visione profetica, Terzani coglie tutti i pericoli derivanti dall’accostamento forzato tra etnie così diverse ora divise, massificate e private della loro peculiarità, e dall’affacciarsi sulla scena dei fondamentalisti religiosi, un islam tribale e pericoloso che avanza. La scomparsa del regime infatti, consente la rinascita di ribollenti calderoni di fanatismi, covati sotto la cenere della repressione, affiancatisi alla rinascita di uno sciovinismo imperante.
Laddove “Unione” stava per gabbia, inglobamento, minaccia di deportazione, “Indipendenza” sta per distruzione e smembramento da, e ai danni di, chi era stato costretto a convivere e tacere. Terzani in questo tortuoso e difficoltoso viaggio, con pericolosi mezzi di fortuna come gli è spesso capitato anche altrove, coglie argutamente le sfumature del processo politico in atto, la sfacciata forza della criminalità ricca, volgare e prepotente, cogliendo il carattere emblematico e simbolico della distruzione delle “statue”, dei simboli, in un contesto nel quale non vi è invece cammino verso un reale cambiamento supportato da basi concrete, e ad un “oppio dei popoli” ne è stato sostituito un altro, non tralasciando però di cogliere la triste bellezza delle persone e dei luoghi. Il culto per il padre della rivoluzione aveva soppiantato ogni afflato verso l’aldilà e, come per contrappasso, è da questo soppiantato in quel momento.
Una salma-simbolo che torna ad essere salma.
“Buonanotte signor Lenin” è dettagliato, minuzioso, mai scontato. Un viaggio coinvolgente alla scoperta di luoghi dai nomi difficili che creano confusione, che assumono agli occhi e per l’immaginazione di chi prima ne era privo una propria identità. Leggere Terzani è ancora una volta conoscere, muoversi, chiedersi e dubitare. Non è un segreto che Terzani abbia simpatizzato proprio con quei sistemi che poi l’hanno deluso e di cui ha visto la fine. Questo rende il suo lavoro ancora più coinvolgente e non perfetto, nulla lo è. Lo sguardo d’un uomo coraggioso non può però non invogliare alla condivisione.
Non pretendeva d’insegnare ma apprendeva e raccontava Terzani: occhio e cuore di reporter.