La vita di Giosuè Carducci fu intimamente e profondamente segnata dal periodo trascorso in Maremma, precisamente quello adolescenziale, fatto di un mondo campestre ispiratore dei più tipici motivi caratterizzanti della sua produzione letteraria, costantemente venata da uno spirito ribelle e vigoroso fortemente attaccato alla vita.
Nato il 27 luglio a Valdicastello, in Versilia, visse in Maremma dal ’38 al ’49, essendo il padre un medico al servizio di una compagnia mineraria francese, ed implicato nei moti carbonari del ’31. Iniziato dal genitore agli studi classici e all’interessamento liberale nei confronti della letteratura contemporanea, dovette poi trasferirsi da Bolgheri e Castagneto a Firenze a causa delle idee politiche paterne. In questa città, egli poté affrontare seri studi classici, superando brillantemente l’esame di maturità e laureandosi alla Scuola Normale di Pisa in filosofia e filologia, era il 1856.
I fervori critici più fecondi nascevano proprio in questi anni, quando, insieme agli amici Giuseppe Chiarini, Ottaviano Targioni Tozzetti, Giuseppe Torquato Gargani ed Enrico Nencioni, fondò la società degli “Amici pedanti”, che mirava polemicamente alla restaurazione del classicismo, in contrasto con le predominanti tendenze romantiche e modernizzanti: la mossa fu di enorme audacia, poiché sfidava il più diffuso ed accettato Weltgeist contemporaneo.
La sua situazione familiare piccolo-borghese divenne in seguito ancor più dura a causa del suicidio del fratello Dante (novembre 1857) la cui colpa fu attribuita da alcuni al padre, e della successiva morte di quest’ultimo (agosto 1858). Giosuè dovette mantenere la madre e l’altro fratello curando alcune edizioni di classici per l’editore Barbera di Firenze, fondò anche la rivista “Il Poliziano” e sposò Elvura Menicucci nello stesso periodo.
Nel biennio 1859-60, con la caduta del granducato toscano, salutò con favore la linea politica sabauda, anche per questo venne nominato professore nel liceo di Pistoia, in seguito venne nominato professore di eloquenza italiana (poi “letteratura italiana”) presso l’università di Bologna.
Venne poi il periodo di forte delusione nei confronti delle scelte politiche del governo unitario e monarchico che lo portarono sempre di più verso idee giacobine e repubblicane. Non solo: il processo di ritorno all’attività politica intesa come azione liberatrice (della società, e di se stesso da questa) si faceva sentire ancor più nel profondo, poiché il contrasto della recalcitrante infanzia maremmana tutta votata al recupero di valori laici e vigorosi con la sua posizione autoritaria di professore universitario, si faceva sempre più forte.
Intanto, nel 1870 sopraggiunsero nuovi lutti, alla perdita della madre e del figlio Dante, si aggiungeva l’insoddisfazione esistenziale; di contro, il successo della raccolta di Poesie del 1871 fu notevole, e si accompagnò alla candidatura per le elezioni parlamentari in qualità di democratico. Da qui ebbe inizio la parabola del cambiamento radicale nei confronti della politica, passando da un più generico voler aiutare “le classi inferiori”, ad un pieno ed accorato supporto alla regina Margherita (in onore della quale scrisse l’ode Alla regina d’Italia), sino a giungere al più deciso disprezzo nei confronti del socialismo,aderendo alla politica di Crispi e presentandosi in qualità di poeta “vate” della politica umbertina.
L’editore Zanichelli curò l’edizione completa di tutte le sue Opere (1889-1905), per poi lasciare l’insegnamento e vedersi assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Morì nella città di Bologna per un attacco di broncopolmonite il 16 febbraio 1907.