“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente”
Fernando Pessoa.
Il poeta è un fingitore. Questo libro mi fu regalato al mio compleanno da un’amica; ammetto di averlo snobbato all’inizio, ma in una di quelle serate calde e senza senso mi sono ritrovata a osservarlo incuriosita. Ma fingitore in che senso? Così, alla prima pagina, quasi sbattuta in faccia si trova questa piccola composizione, non proprio una poesia, ma quasi un appunto, una riflessione sul poeta, forse su se stesso. Una riflessione che dal generale potrebbe condurci al particolare della mente così complessa di Fernando Pessoa. Il libro è una sorta di Zibaldone, sono una serie di appunti e pensieri fissati senza ordine. La mia è una semplice edizione della Feltrinelli a cura di Antonio Tabucchi, che si è occupato anche della selezione di queste citazioni e pensieri. Come spiega il curatore nella nota introduttiva, gli appunti che si trova in questo affascinante libricino rispondono alla domanda di autenticità della finzione. La poesia, per quanto finta essa sia, vuole la verità, vuole l’autenticità. Per questo, forse, si diventa poeti. Il potere di creare qualcosa nella mente e poi trasfigurarlo in qualcosa di reale esercita un fascino pari a quello della magia. La poesia diventa potere. Ma il potere logora, giusto? Per questo, il poeta che si trova a parlare di dolore, se anche non è il suo, fa in modo che lo diventi. La vita di Pessoa è stata apparentemente una vita tranquilla, nella scrittura, nel giornalismo e nella poesia. Ma questo libro porta a ricredersi su tutto; numerosi sono i temi dai toni cupi. La solitudine accompagna la sua riflessione dell’essere poeta, si protrae fino all’affermazione di essere “niente”:
“… non posso voler essere niente.”
La finzione è insita nel carattere dell’essere umano e la morte … quella, è onnipresente. Diventa qualcosa da agognare, un semplice passaggio, qualcosa che chiude il cerchio della vita; la ricerca sulla profondità della propria anima è portata agli estremi, fino ai confini della conoscenza che un essere umano può avere di sè. Ogni tanto emerge qualche nota positiva, qualche richiamo alla città dell’infanzia, a sensazioni di pace e serenità, illuminazioni brevi e fugaci che ripiombano ancora una volta nel buio di domande senza risposta.
Ironia, solitudine, perdizione, amore, morte e vita. È una collezione assolutamente arbitraria di momenti della vita del poeta portoghese, morto a quarantun’anni soltanto, uno dei grandi del XX secolo.
È la testimonianza di come la semplicità mostri abissi più profondi di chi declama l’oscurità.