Una ricetta per confezionare un libro di sicuro effetto, persino in lista per un futuro adattamento cinematografico?
Dunque, prendete un mazzo di fotografie. No, non di quelle digitali, quelle con la carta un po’ ingiallita, gli orli consumati e che ritraggono situazioni e personaggi abbastanza stravaganti ed inusuali, magari un pizzico inquietanti.
Scegliete un personaggio principale fresco, adolescente è meglio, un po’ nerd, leggermente asociale e fatelo interagire con un avo dal passato oscuro e che tende a raccontare una realtà già inverosimile infarcendola di un pleonastico tocco di fantasia.
Aggiungete una bella scuola di formazione per bambini speciali diretta da una preside dal cognome alato, rigida ma anche comprensiva. Amalgamate tutti gli elementi e condite con una spruzzata di nemici cattivissimi, posseduti dal desiderio di potere, una innaffiata di salto temporale ed otterrete…
Beh, sull’esito finale di questo pasticcio letteral – culinario si potrebbe argomentare. Come è vero che gli stessi ingredienti possono dar vita a piatti diversi, così in questo caso non si tratta di Harry Potter, non di Percy Jackson e nemmeno dell’ultimo fumetto di X-men, bensì di un libro dal titolo lungo e promettente “La casa per bambini speciali di Miss Peregrine”.
Jacob, il protagonista, è un ragazzo annoiato, con un solo amico, che trascorre la sua vita in una sequela di giorni “normali”, un po’ tutti uguali a se stessi nella sonnolenta provincia della Florida . Non comunica coi genitori, ma ama moltissimo il nonno paterno, ebreo polacco sopravvissuto ai campi di concentramento, che gli racconta molte storie sul proprio passato, trasfigurandole con racconti al limite del fantastico. Quello stesso nonno un giorno trova il coraggio di mostrargli delle foto, ritratti di bambini molto particolari. Il nipote oscilla tra credulità e dubbio, pensa ad un fotoritocco ma, quando il dolore e la tragedia interverranno ad interrompere quella sfilza di giorni tutti uguali, il ragazzo comprenderà significati fino a quel momento rimasti sospesi, dovrà combattere contro la diffidenza di chi lo circonda ed intraprendere un percorso, non solo geografico, per conoscere fino in fondo la sua vera identità e scegliere una via per il proprio destino.
Nel viaggio a ritroso, rispetto a quello intrapreso dal nonno, dall’America all’Inghilterra, Jacob riannoderà i fili della propria storia personale, quelle vecchie foto riprenderanno consistenza e significato, ed egli troverà le chiavi d’accesso per un mondo molto particolare, sospeso nel tempo e nello spazio.
Il libro dell’esordiente Ransom Riggs si presta proprio all’ambigua interpretazione che ho appena illustrato. Da un lato è una miscela di ingredienti già assaporati, l’ennesima rivisitazione di molti generi, a cavallo tra ghost story, fantasy ed horror, che continua ad incuriosire lettori e spettatori, con in più la forza derivante dai classici racconti di formazione, ed il cui potenziale potrebbe non esaurirsi mai, nonostante alcuni elementi ricorrano ormai troppo frequentemente. Dall’altro lato, il libro presenta un elemento di originalità nella costruzione del racconto prendendo come spunto vecchie foto rigorosamente autentiche. Inoltre si presta a qualche ulteriore riflessione: è un’opera un po’ più “adulta”, nonostante la scelta di giovani protagonisti, all’interno della quale il discorso sul genocidio del popolo ebreo viene trasfigurato attraverso una rappresentazione favolistica e simbolica, ma si tratta di una fiaba violata, il mondo dorato dell’infanzia sporcato dalle tinte del male. C’è l’incredulità di essere vittime da parte di giovani vite, che tutt’altra esistenza sceglierebbero di vivere, se solo potessero; il ripiegamento su se stessi di esseri, che si allontanano da un mondo che non accoglie la diversità ed anzi la osteggia; la voglia, nonostante la paura, di crescere, di travalicare confini, laddove il rischio s’intreccia con la sofferenza e la felicità.
Si arriva in fondo alla lettura con l’ansia di scoprire un epilogo davvero conclusivo e soddisfacente, ma si rimane leggermente delusi, come se l’appuntamento finale fosse stato rimandato, magari ad un’altra opera.
Non mi stupirei, se l’autore l’avesse già in cantiere.