Si resta a volte soli nella veglia
di un racconto sospeso, allora soli,
ignoti l’uno all’altro, ed ora uniti
dal ricordo che un nulla ci divise.
Il rammarico punge, se mi dici:
“bastava che quel giorno…” ti sorrido
con la mesta sfiducia di sapere
che mai giunsi per tempo, che geloso
di te, del tuo passato, almeno vedo
il tuo sguardo d’amore al primo incontro.
Ma forse è giusto credere che allora
tu m’avresti perduto:
come un ragazzo che si lascia indietro
nella paura d’esser felice.
Alfonso Gatto
Un ricordo affiora timido, sottovoce e apre una finestra sul passato. Un amore perduto prima ancora di poter essere vissuto. Il dolore per ciò che poteva essere e invece non è più stato e mai sarà.
L’amore è una costante dei versi di Alfonso Gatto, celebre poeta salernitano. Con abile maestria egli sa coglierne tutte le sfaccettature e trasporle in un linguaggio suggestivo.
Il racconto che anima questi versi è quello di un amore andato, che non è stato colto. I ricordi invadono la mente del poeta il quale fa i conti con una felicità appena sfiorata e poi subito svanita, senza poterla assaporare compiutamente.
Lo stato d’animo che emerge preponderante è il rammarico. Si scorgono sottesi i termini di questa storia, narrata di scorcio: la gelosia di lui, la decisione di lei, l’orgoglio che non permette una seconda possibilità.
Seppur soffocato nella sfiducia, nel mare di nostalgia in cui il poeta è naufragato c’è però un bagliore di luce: lei al loro primo incontro. L’immagine si compie in quello “sguardo pieno d’amore” che la donna regala all’amante, dono pregiato che sa rendere meno mesto il ricordo di ciò che non ha avuto la possibilità di essere. Nella consapevolezza di un errore costato caro si schiude una comunicazione sommessa con la donna amata.
La riflessione a cui ci conduce questo originale componimento è semplice ma non banale. Quante volte la paura di essere felici insidia i nostri progetti? Troppo labile è talvolta il filo che ci permette di vedere le cose nella giusta dimensione. Spesso la nostra vista è alterata e un tarlo insistente ci spinge attraverso vie tortuose, per cui smarriamo la rotta.
Solo quando è ormai troppo tardi ci accorgiamo dell’errore. Ecco che allora ci ritroviamo così, in una sera d’inverno, sospesi, in balia di un ricordo che è diventato rimpianto.