Che cosa pericolosa è il desiderio, ci muove, ci spinge, ci rende impazienti ma, soprattutto, ci crea un condizionamento: ciò che vogliamo deve necessariamente rispondere alle nostre aspettative, o meglio ancora superarle. Talvolta il lettore si sente un po’ scienziato un po’ archeologo, si illude di essere l’unico ad aver riconosciuto nella penna di uno scrittore un tratto eccezionale, si sente scopritore e mecenate, si stupisce perfino quando incontra altri che quello stesso talento hanno riconosciuto. Mi è capitato quasi per caso di leggere, con un fare un po’ snob lo ammetto, il libro d’un regista, e di provare esattamente tutto questo. Hanno tutti ragione di Sorrentino mi lasciò entusiasta, sorpresa, felice d’aver vinto le mie reticenze e, ahimè, desiderosa. Anelavo ad un seguito, alla vita di Tony Pagoda, protagonista di quel romanzo senz’altro, ma soprattutto un seguito nel tratto di Paolo Sorrentino, speravo posasse la macchina da presa ed impugnasse di nuovo la penna, conscia del fatto che stavolta avrei voluto ancora di più. Cos’è chi legge se non un tossico dell’immaginazione e delle parole di qualcun altro? In crisi d’astinenza, che solo chi talvolta è arrivato a leggere le etichette dello shampoo con vivo interesse può comprendere, ho acquistato con compiacimento la fatica di quest’anno di Sorrentino: “Tony Pagoda ed i suoi amici”.
Tony stavolta si e ci descrive in 13 racconti la sua personale visione dell’umanità e della vita, il tutto preceduto da un introduzione di suo cognato, Ughetto De Nardis. Tanti gli incontri, con persone famose o meno, dalla albergatrice un tempo cameriera dell’hotel che ospitava i cantanti sanremesi, a Carmen Russo ed il compagno (che per inciso mi chiedo come faccia a distinguere), Silvan, Maurizio Costanzo, un amico d’infanzia, una donna capace di ridere con lui. E giù digressioni pseudo-filosofiche. E giù morali e moralette. Tutti buoni, tutti bravi, in particolare i realmente esistenti, ingenui, teneri o geniali. Il cantante napoletano Tony, snaturandosi rispetto a ciò che aveva rappresentato nel primo libro, preso dalla smania del narrare pretende di dare lezioni, buffo pensando a quanto fosse stato memorabile il suo modo di fare politicamente scorretto nel testo precedente. La malinconia e la vecchiaia raccontate assomigliano a piagnistei e la smisurata, indicibile simpatia ed insieme empatia che questo personaggio mi aveva fatto sentire sono svanite, perse nel nulla. Persino la lingua è cambiata: Tony Pagoda lo è di nome, non di fatto. Per fortuna l’ironia non è tutta persa, ma sfortunatamente non basta.
Inconfutabile ancora la bravura di Paolo Sorrentino e forse, se questo non fosse una sorta di seguito, perché in effetti poi non lo è del tutto, la delusione non sarebbe così cocente. Insomma una sorta di: è intelligente ma non si applica. La scelta di forma, racconti brevi al posto di un romanzo lungo è originale e controcorrente, ed alcuni dei tredici sono superiori agli altri. Ben composti, appaiono però belle cornici prive del quadro, inappuntabili se, per loro incommensurabile sfortuna, non esistesse un fratello maggiore scomodo. I monologhi di quest’uomo (incredibile pensare potesse nelle intenzioni di Sorrentino dover essere lo stesso di “Hanno tutti ragione”) sembrano le lamentele d’un vecchio su una panchina, senza parenti, costretto a raccontare di “quella volta prima della guerra…” ai piccioni d’un parco. In questo almeno è riuscito a farmi tenerezza, ma non so, fossi stata un piccione, quanta pazienza avrei avuto d’ascoltarlo senza cercare di soffocarmi con una mollica di pane.
Il lettore, quello che si chiama così da solo e con fierezza, ed in questa categoria senza dubbio mi riconosco, non demorde. I tossici della carta stampata non s’arrendono così facilmente. Senza dubbio abbiamo vita più agevole, ed al posto di buie e squallide stradine di periferia, per noi lo spaccio avviene in ameni luoghi densi di scaffali e parole, ed io aspetto la mia dose. Paolo Sorrentino me la deve, mi deve quel viaggio che stavolta m’ha negato.
Non si contraddice un tossico, sarei capace in tal caso di molte cose, perfino di dire ai quattro venti che Moccia è un regista migliore.