Epodòs, letteralmente, significa “canto aggiunto”, “canto che viene dopo”. In origine, indica semplicemente il verso più corto di un distico. Si deve ai grammatici del tardo impero l’estensione di significato della parola epodo, che passa così ad indicare l’intero distico, costituito appunto da un verso più lungo e da uin altro più breve modellato sul precedente.
In distici epodici sono composti ben sedici dei diciassette componimenti di quest’opera di Quinto Orazio Flacco, la cui stesura copre l’arco temporale 42 – 31 a. C.: gli Epodi.
Me quoque pectoris
temptavit in dulce iuventa
fervor et in celeres iambos
misit furentem
A parlare è Orazio stesso, il quale in un passo delle Odi ricorda l’esperienza giovanile degli Epodi, mettendo in grande evidenza l’aspetto più caratterizzante di questa produzione: il fervor appunto, lo spirito aggressivo e passionale (“Me pure tentò, nella dolce giovinezza, il ribollire dell’animo e mi sospinse furente verso i giambi veloci”).
Il volume, dedicato a Mecenate, vede la prima pubblicazione nel 30.
Quella degli Epodi è una poesia molto poco “oraziana”, potremmo dire. Siamo lontani da quella misura e da quell’equilibrio che hanno fatto del poeta di Venosa una delle figure più lette e apprezzate nella storia della letteratura latina. Qui prevalgono i toni aggressivi, la vena polemica e l’invettiva. Il metro e lo stile tradiscono l’ispirazione di questa prima produzione poetica, nella quale si sente come una rabies dell’autore nei confronti di tutta la società. Ma quest’atteggiamento appartiene all’uomo Orazio o all’uomo di lettere, al poeta? È questa la domanda chiave, e la risposta, tutt’altro che scontata, ci viene suggerita dall’autore stesso:
Parios ego primus iambos
ostendi Latio, numeros animosque secutus
Archilochi, non res et agentia verba Lycamben
“Io per primo i giambi di Paro mostrai al Lazio, seguendo i ritmi e lo spirito aggressivo di Archiloco, non però gli argomenti e le parole che perseguitarono Licambe”. L’affermazione, ricavata dalle Epistole, è di fondamentale importanza: Orazio si vanta di aver portato per primo nel Lazio i giambi di Archiloco di Paro, ma solo per quanto riguarda lo stile aggressivo, e non le res, ossia gli argomenti, che nel nostro autore sono tutti di ispirazione romana (per esemplificare il tema e l’esperienza personale Orazio chiama in causa Licambe, il bersaglio più famoso dei duri attacchi del poeta greco). Tutto questo significa che l’ispirazione che caratterizza la raccolta poetica è soprattutto dettata dall’imitazione del modello, con l’assenza, rispetto ad esso, dell’attacco ad personam, da cui il poeta di Venosa furbamente si tiene distante.
Forte, insieme ad Archiloco, è anche l’influsso di Callimaco, maestro della poesia ellenistica ispirata al criterio della variatio, ben presente anche in Orazio, che nei diciassette componimenti della silloge (lo stesso numero di Callimaco!) alterna propempticon – “carmi di accompagnamento” – scherzi e poesie di argomento politico, civile, magico ed erotico. Il tutto, ovviamente, condito da una sapiente variazione dei registri stilistici.
La fortuna maggiore è toccata ai componimenti di carattere politico (VII, IX e XVI), che costituiscono uno straordinario termometro delle tormentate vicende di Roma a cavallo tra Repubblica e Impero: la preoccupazione e l’angoscia cedono piano piano il passo alla fiducia e alla speranza, incarnate più che mai nella figura di Ottaviano.