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Non chiamatelo profeta: Bob Dylan. Il poeta di uno Stato

“Non c’è un gigante più grande nella storia della musica”.

Quel gigante si chiama Bob Dylan, le parole gliele ha cucite su misura il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Motivo? La più alta onorificenza civile statunitense, la “Medaglia Presidenziale della Libertà“, consegnata dal presidente stesso al cantautore americano, meno di una settimana fa. La medaglia viene assegnata a coloro che hanno dato “un contributo meritorio speciale per la sicurezza o per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata”.

Forse non tutti sanno che Bob Dylan, all’anagrafe Robert Allen Zimmerman, è stato ed è prima di tutto uno scrittore, un poeta, i suoi testi si sono collocati in uno spazio esteso della letteratura americana degli anni ’60-’70, le sue parole sono state scritte sulla pietra, divenendo fondamenta di un insieme di stili unico, ineccepibile, quasi perfetto, eppure semplice, facilmente avvicinabile.

“Sì, sono un ladro di pensieri
ma non un ladro d’anime, prego
ho costruito e ricostruito
su ciò che è in attesa
perché la sabbia sulle spiagge
scolpisce molti castelli
su quel che è stato aperto
prima della mia epoca
una parola, un motivetto
una storia, un verso
chiavi al vento per aprirmi la mente
e per garantire alle mie idee da armadio un’aria da cortile”

Un portatore di parole e pensieri. Attraverso la musica, unico mezzo che Dylan ha mai conosciuto, forse perché nato con lui, ha saputo cogliere l’anima di un popolo e così spingerlo verso il cambiamento. In questo estratto, tratto da “11 epitaffi abbozzati”, poema scritto negli anni’60, ciò che ne traspare è l’incessante rumore del motore delle parole che pervade ogni angolo, e per cui persone come lui riescono a comunicare. Musica e impegno. Un binomio di cui l’autore è stato portatore.

“quando aprirà gli occhi?
chi quello? non lo sai? è un pazzo
non li apre mai
ma così si perde il mondo intorno
nah! vive in un mondo tutto suo
dio mio allora è pazzo davvero
già, pazzo”

L’intero poema ruota dunque intorno all’influenza di due arti quali la musica e la letteratura sull’agire sociale, sulla diffusione di idee politiche, ideologiche, personali.

“C’è un film che si intitola
Sparate sul pianista
e l’ultima battuta recita
«musica, amico, ecco il punto»
è una battuta religiosa
di fuori, le campane suonarono
e
ancora suonano”

Eppure il forte senso di speranza, solitamente attribuito a chi, come Dylan, si erge a mezzo/messaggero, fa a cazzotti con un violento senso di grigiore che incapsula le sue poesie. Il cambiamento, tanto ambito e profuso, risulta spesso un’ombra di paura.

Chi è davvero Bob Dylan? Un uomo dalle mille personalità, tante quanto quelle dei suoi fan, quanto quelle della sua musica. Una pietra che rotola, simbolo dell’insoddisfazione, simbolo del movimento. La Rolling Stone  è il fulcro del pensiero di Dylan, è LA del suo impegno politico e sociale. In opposizone al pop melodico e agli strascichi del rock’n roll, nasce la poesia folk che richiama la storia di un paese da decine di anni. Da quando gli Stati Uniti cominciarono a perder pezzi.

Erano gli anni delle proteste, delle manifestazioni, della guerra in Vietnam, di Woodstock… è vero. Eppure qualcuno, sono sicura, cominciò a cantare.