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“Le Ore”. Il tempo sospeso di Michael Cunningham.

 C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo di averne ancora.

 

Virginia, Laura, Clarissa. Tre protagoniste, tre epoche diverse, tre donne le cui vite si incrociano e si snodano nel romanzo di Michael Cunningham “Le ore”, il cui titolo riprende quello pensato dalla stessa Virginia Woolf per la prima stesura di  “Mrs. Dalloway”.

Ed è proprio questo romanzo il punto di partenza dell’intreccio attraverso cui Cunningham, con una maestria che gli è valsa il premio Pulitzer, mette in moto i fili di tre vite apparentemente diverse, ma tenute, in realtà, unite dalla stessa, assetata, ricerca di un senso che muove le cose.

In una immaginaria mattina di Giugno del 1923, Virginia Woolf, nel tentativo di sfuggire alla pesantezza del suo male di vivere, dà vita ad un personaggio che la sollevi da questo tormento, Clarissa Dalloway.

In una stessa mattina di Giugno, qualche decennio più tardi, Laura Brown cercherà in quello stesso personaggio, un rifugio al senso di vuoto che il ruolo di madre e moglie non riesce a colmare.

Stesso mese, fine del XX secolo, Clarissa Vaughan andrà a prendere i fiori per il party in onore del libro di Richard, amico di una vita.

Ombre e luci si alternano su un piano in cui i personaggi si confondono e si inseguono, in un disperato tentativo di slegare i nodi delle loro esistenze.

Mescolando il tempo come fosse un ripetersi di avvenimenti inestricabili, Cunnigham traspone i personaggi del passato in un ipotetico presente.

In questo contesto, Richard, scrittore egocentrico malato di AIDS, diviene una moderna rappresentazione di Virginia Woolf, del suo lato oscuro e della sua pazzia.

Richard è il poeta che assapora l’essenza del mondo, per questo “deve” morire violentemente, così come Virginia Woolf e Septimus prima di lui.

Nel contrasto con la morte e la pazzia, affiora il personaggio di Clarissa: “Mrs. Dalloway”, l’inevitabile soprannome che Richard le ha cucito addosso anni prima, una mattina d’estate quando la loro amicizia si confondeva nell’amore.

Così, passeggiando per le strade di New York, Clarissa rivive le memorie di un passato in cui tutto il suo essere sembra essersi concentrato,

Sembrava quasi l’inizio della felicità, e Clarissa qualche volta ancora resta attonita, dopo più di trent’anni, nel realizzare che era quella la felicità.

Clarissa è per Richard quello che Leonard è stato per Virginia.

Quasi come in un esorcismo contro la follia, spunta, tra passato e presente, la figura di Laura Brown.

Angosciata da un ruolo che non riesce ad interpretare, Laura, incinta e già madre del piccolo Richie, è soffocata dal senso di colpa ed inadeguatezza.

Introversa, avida lettrice, Laura sceglie la vita alla morte, quasi come se la Letteratura avesse restituito un senso alla sua esistenza. E la Letteratura, appunto, sembra essere l’unico punto certo nel romanzo, l’unico elemento che lega la vita e la morte, e quindi l’unico elemento reale.

Ne “Le Ore”, Michael Cunningham ha fatto un uso geniale  dello “stream of consciousness”.

Capace di racchiudere nei suoi personaggi, tutta l’angoscia, le contraddizioni, le follie della vita.

Il suo linguaggio è semplice, lineare e disperatamente profondo, tanto che, nella descrizione delle ultime ore di vita di Virginia Woolf, si ha quasi l’impressione di leggere la testimonianza stessa dell’autrice.