Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo
Leggere un libro per curarsi; scrivere un libro per salvare. Era questo che aveva in mente Robin Norwood, psicoterapeuta americana specializzata nei problemi di “dipendenza”, quando raccoglieva storie e informazioni su donne malate d’amore e ne faceva un libro pubblicato negli Stati Uniti e tradotto in venticinque lingue in tutto il mondo intorno agli anni Ottanta. Dacia Maraini, che ha scritto la presentazione di questo libro, ha paragonato l’autrice alle buone massaie, con la differenza che anziché insegnare le ricette del mangiar sano, suggerisce quelle per l’amar sano. Amare troppo significa non amare; o meglio quando si è consapevoli di amare troppo, quel troppo che pesa, non si sta amando nel modo giusto. Esiste dunque un modo, delle regole dell’amor sano? Per la Norwood evidentemente sì e visto il successo del libro la dovevano pensare così anche le donne sofferenti che hanno letto le sue pagine. Ecco il pubblico a cui si riferisce, le donne che soffrono, una sorta di Ars amatoria ovidiana in una modernità che considera un libro alla stregua di una terapia face to face ma paradossalmente intima nella sua genericità. Perché la donna che legge questo lungo saggio può riconoscersi in una storia o in un’altra, classificare le sue lacrime, etichettarsi tra le sofferenze dell’ essere troppo disponibili avere poca autostima, voler controllare il proprio uomo, essere drogate dal proprio uomo, essere portate alla depressione, considerare noiosi i bravi ragazzi etc. Con un relativo scetticismo per un libro-cura, credo si possa incappare in un errore ancora più grande dell’amare troppo fino a umiliare se stesse: in un momento di fragilità, quale può essere lo stato di sofferenza, trovare un rispecchiamento in una di queste storie, alcune anche troppo “forti” può quasi far alleviare il senso di colpa verso se stesse nel sentirsi sollevate a non essere le uniche a volersi così poco bene, giustificandosi e allontanandosi da un percorso di “salvezza”. La terapia individuale eviterebbe questo fenomeno, oltre a quello di, in una fallace associazione di situazioni, credere di avere un disturbo troppo profondo come quello di una delle protagoniste per potersi riprendere.
Da questo libro sembra che il genere femminile si divida in due gruppi: la crocerossina che vuole a tutti i costi salvare l’uomo, abbozzando sui suoi comportamenti poco galanti; la vittima che vuole a tutti i costi salvarsi da se stessa, credendo che dipendendo da qualcuno possa sentirsi meglio. Inutile sottolineare quanto siano entrambi sbagliati; l’amore comporta la sua dose di sofferenza questo è vero, film, favole, storie di vita ci insegnano che è così ma se le sofferenze superano le gioie, se le notti insonni sono più numerose dei pomeriggi d’amore, se le attese sono più frequenti delle sorprese, allora non è amore ma qualcosa di tossico, di malato. Stare con qualcuno deve migliorarti la vita, non fartela maledire….
La misura dell’amore è amare senza misura diceva Sant’Agostino … parlava di amore appunto, non di sofferenza.