Vedeva se stessa seduta là, dove ora stava sua madre, una donna che aveva subito una spaventosa metamorfosi, che non aveva altre ragioni di vita oltre quella di dare noia ai figli e di farsi dare noia da loro; e di fronte a lei una donna giovane, della quale tutto quel che le riusciva di distinguere con chiarezza era una faccia dura e ostinata. A fianco di queste donne, una serie di ombre maschili che ne dipendevano, uomini senza volontà, malati di inibizioni. Era questo l’incubo, l’incubo di una classe e di una generazione: la ripetizione.
Doris Lessing non ama essere definita femminista. Le ideologie ti rapiscono, ti appassionano, ti offuscano la mente come tutti gli amori, e lei, invece, ama guardare dritto al problema e usare le parole per quello che sono, spogliate di ogni retorica.
Tuttavia risulta impossibile tuffarsi nella lettura dei suoi romanzi, e non sentirsi avvolti da una sensazione di orgoglio femminile puro, quasi tra le sue righe avesse riportato in vita questo vecchio, logorato, sentimento, conferendogli la dignità che merita.
“Un matrimonio per bene”, titolo originale “A proper Marriage” (in cui l’aggettivo proper sottende a qualcosa di dovuto, di necessario), è il secondo volume del ciclo “I figli della violenza”, in cui, traendo spunto da alcuni avvenimenti della sua stessa vita, Lessing racconta la storia di Martha Quest.
Quando, negli anni Cinquanta, Doris Lessing diede vita a questo ciclo di romanzi, l’idea stessa di affrontare una storia, in cui il punto principale è il rigetto di una donna per una vita di cui non è padrona, era rivoluzionaria.
Martha cresce in una colonia inglese dell’Africa, in cui la minoranza bianca prevale, sprezzante, sulla maggioranza nera degli “indigeni”. Siamo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale: le ideologie nazi-fasciste si insinuano nelle menti dei cittadini, imbevuti del veleno che sgorga da parole come “Pattriottismo” e “Proprietà”.
La storia di Martha si stende proprio su questo sfondo. La sua crescita personale, la presa di coscienza del proprio corpo e della propria personalità, seguono la stessa evoluzione della Guerra.
Appena ventenne, Martha è moglie di un uomo, Douglas, che a malapena conosce, e madre di una bambina a cui dovrà badare da sola quando il marito si arruolerà.
Ogni notte, quando il silenzio lascia finalmente spazio ai suoi pensieri, un conato di disprezzo e rigetto le sale alla gola, al pensiero di dover condividere il letto con quell’individuo che sembra volersi appropriare del suo corpo come della terra degli indigeni.
Martha e gli indigeni seguono lo stesso destino, sono due proprietà la cui vita appartiene ad un sistema patriarcale e capriccioso, che gioca con le vite dei suoi cittadini costruendo per loro ruoli marginali.
Incapace di restare immobile nell’altare che è stato costruito per lei dalle sue antenate, Martha decide di porre fine al suo matrimonio e allontanarsi dalla figlia, lottando non solo contro la società maschile, ma anche contro il suo stesso sesso.
Persino sua madre, infatti, rifiuta ottusamente un dialogo con lei, quasi avesse paura che, accettando le ragioni della figlia, il suo intero mondo perdesse di significato .
Decisa a stabilire da sola i propri confini, Martha comincia a guardare il mondo da un’altra prospettiva: la passiva accettazione della condizione femminile delle donne che la circondano, le illusioni contraddittorie dei comunisti, le fragilità degli uomini che tengono le redini della società.
Doris Lessing non si definisce femminista, ma, la capacità con cui descrive l’evoluzione psicologica della sua protagonista, è senz’altro “femminile”, nel senso più arcaico e puro del termine.