1- Quale animale morto vive in te?
Faccio pesca subacquea da quando avevo otto anni.
Un giorno ero sott’acqua col mio piccolo fucile, un “mini mini sten”, poco più grande di una pistola ad aria compressa, ma con una fiocina con cinque denti aguzzi all’estremo. Avevo poco più di dieci anni e quel giorno imparai che ogni vita esiste, anche se quasi non si vede.
Stavo per risalire, non avevo sparato nessun pesce e la cosa più brutta è che non avevo visto neanche niente, nulla muoversi, una spigola o un cefalo qualsiasi, un sarago più grande che ti fa venire il colpo in petto, niente, nessuna emozione.
M’ero svegliato alle 4 di notte, avevo preso freddo inutilmente e mi giravano le palle.
A un certo punto un cefalo piccolissimo inizia a girarmi attorno al fucile. Vicino alla fiocina, ai denti aguzzi, ci si appoggia anche su uno di questi. E io gli sparo, perché ero annoiato. Il cefalo si squartò in due pezzi.
È lui l’animale morto in me, e non perché mi sia mai pentito di averlo ucciso, ma perché una volta salito fuori dal mare mi resi conto che, senza farci caso, senza dare alcuna importanza alla sua minuscola vita, mentre lo spaccavo in due pensavo che avevo freddo e volevo il sole. Sparare distrattamente è umiliante per chi spara.
Se potessi tornare indietro mi prenderei tutto il gelo del mare, zitto e muto.
2- Zoo col semaforo: dimostra come il clima italiano-suburbano delle strade sia teatro di una morte d’asfalto animale, cosa ha dato “anima” a questa sensazione, narrativamente, goduriosa?
Mi serviva creare al mio protagonista Carmine un diversivo alla morte di suo figlio.
Nel senso che togliendo gli animali morti da vicino la lapide del figlio, Carmine esorcizza la morte, sperando che un giorno, allenandosi con la pala, possa tirare fuori proprio suo figlio.
Questo per dire che l’anima di questa sensazione è puramente narrativa, è nata come soluzione a un “problema” drammaturgico. Se devo essere onesto non mi affascinano né mi hanno mai affascinato gli animali morti per strada. Mi sono abbastanza indifferenti.
Forse solo i piccioni morti mi fanno un po’ di tenerezza, perché hanno le ali e non dovrebbero stare spiaccicati a terra; sembra quasi che si sottovalutino.
3- Quanto conta per te il luridume, buonissimo, delle strade del sud?
Un aspetto che m’è sempre piaciuto della provincia di Caserta e di Napoli è il modo in cui le persone vivono la strada. In estate soprattutto si vede gente che porta gli stendini coi panni appena lavati sui marciapiedi. Oppure ragazzi che mettono la sedia fuori e da lì guardano la tv del salone; e poi i portoni sempre aperti della provincia di Caserta con le vecchie che stanno lì fin dalla mattina a guardare le macchine.
Non so se anche in altri luoghi del sud Italia è così perché non c’ho vissuto. Quindi dico che quest’aspetto dei luoghi in cui sono cresciuto denota non solo una semplice appartenenza alla strada, ma anche una voglia di fare di casa propria un luogo di tutti, senza la vergogna di stendere le proprie mutande sulla strada o ti togliersi le scarpe davanti a tutti per risposarsi i piedi, seduti su un marciapiede. Ovviamente questo porta anche del luridume, inteso come visione di scene spesso poco edificanti, però per quanto mi riguarda è stato importante per me crescere con questa sensazione dentro: non mi fa avere paura del mondo.
Da piccolo sognavo spesso di svegliarmi col mio letto in mezzo alla strada, era un incubo, poi una notte smise di essere un incubo perché sotto al letto apparvero delle ruote, e il letto mi portava in giro per le città, mi sentii cullato e ripresi a dormire.
4- Fante, Carver o chi? Purchè ti rappresenti sino al midollo.
Hai fatto due nomi importanti. Uno (Carver) fondamentale per me, l’altro (Fante) decisivo. Carver lo studio continuamente, mi piace molto come si muove il mondo nelle sue storie, come è perfetto in relazione ai suoi personaggi: una coppia in crisi lui la racconta con un pavone minaccioso davanti alla loro automobile. E non c’è nulla di assurdo in questo, perché i racconti di Carver, mentre li leggi, pensi continuamente che possano capitare anche a te, perché nessuno sa cosa c’è nella testa del pavone, o del mondo.
“Chiedi alla polvere” di Fante è stato uno dei primissimi romanzi che ho letto, di quelli che ti fanno chiedere, timidamente a te stesso: “Ma se provi a farla anche tu, una storia?”, usando proprio il verbo fare.
Chi mi rappresenta fino al midollo però è Julio Cortazar. Voglio essere breve, perché altrimenti vi annoiate e mi annoio: Cortazar inventa una storia e poi la spacca non solo in due, ma anche in tre in quattro in cinque; dopo prende il cinque e lo mette al posto del due, il quattro in luogo del tre, e ancora il tre invece del due, e così per molte pagine; poi però raccoglie tutto il sangue della storia rotta, lo versa nel corpo dei personaggi e trasforma tutti i pezzi in una storia unica, in un UNO bellissimo.
Io cerco di fare questo. Cercherò di farlo fino a quando avrò terminato le storie da raccontare, è il mio percorso ed esiste perché tanti anni fa in Argentina è esistito Julio Cortazar.
5- Cosa diresti agli scrittori d’oggi, con tono suburbano, ovvero dal sapore, sporco, tipico del tuo libro?
Boh non lo so. Più che dire qualcosa, mi sento di chiedere qualcosa.
E quello che chiedo sono le storie. Inventate storie, fatemi divertire, non mi fate buttare soldi in libreria. Io non lo so bene come si fa a non far buttare soldi ai lettori; non lo so, provate a raccontare la cosa che più vi fa male, mettete il dito dentro la vostra ferita, non vi fermate appena appoggiate l’unghia, che brucia un po’. Affondate le dita e raccontate. E fatelo tramite le storie, non confondendo mai voi stessi con le vostre storie però, fatevi rappresentare da loro.
Insomma così cerco di fare io, poi non lo so, forse alla fine basta solo essere onesti davanti allo schermo del computer.
6- La tua scrittura può vivere per sempre nella maturità visionaria delle autostrade del sud o, la maturità, renderà immacolate esse?
No, penso che mi distaccherò da queste ambientazioni. Anzi, in realtà già lo sto facendo con i prossimi lavori.
Il punto è che non mi interessa diventare un cantore dei luoghi in cui sono cresciuto, voglio raccontare i miei luoghi, e il casertano è uno tra i miei luoghi, ma ce ne sono tanti altri che voglio approfondire. In fin dei conti ancora non ho capito che cos’è il sud, cosa si intende per sud e tutto queste cose qua. Sicuramente c’è una risposta, ma in questo momento della mia vita non mi interessa cercarla.
La domanda poi contiene la parola maturità. Diciamo allora che voglio solo maturare non tradendo le mie ambizioni di sempre. Stop.
7- Pensi che la letteratura italiana abbia il coraggio di esprimersi con l’anti-letteratura, cioè la non-scrittura lineare a gola aperta?
Non lo so. Alcune case editrici, soprattutto minori, pubblicano scritture non lineari (penso alla Nuova Frontiera, la Playground, la Keller, penso a un libro della Fazi che si chiama “chiamami Brooklyn” di Eduardo Lago), d autori però non italiani.
Io penso che, come me, ci sono scrittori che tentano di “destabilizzare” le strutture classiche narrative, sperimentando nuove forme quindi. Il punto è che da una parte i grandi marchi non ci puntano più di tanto perché, detto in breve, “non va di moda” (fin ora hanno venduto tanto solo storie “lineari”); dall’altra parte però c’è anche un altro aspetto (e questo riguarda noi autori): è difficile, se non difficilissimo, inventare belle storie, accattivanti, vendibili e universali quando, nel frattempo, s’è impegnati anche a gestire una struttura più complicata, diciamo così, quando all’originalità della storia va affiancata un’originalità di struttura. È un lavoro complicato. Io personalmente mi concentro quotidianamente su questo secondo aspetto che ho messo in risalto, perché mi riguarda sensibilmente.
Detto questo, penso che prima o poi la letteratura italiana sarà pronta ad aprirsi a scritture del genere (non dimentichiamo che italiano era Italo Calvino!), ma non me frega più di tanto. Io non faccio l’editore, penso a inventare la storia giusta raccontandola come mi sento di raccontarla. È mio dovere farlo.
8- A quale animale daresti la resurrezione suburbana?
Alle rane. Secondo me nel mondo bisognerebbe saltare di più. È un bel compromesso tra il volare e il camminare.
9- Un saluto, diverso, forte, malato, per i giovani scrittori.
Pensate ad emozionare.
Il resto sono solo chiacchiere.
Un Amen labbatiano dall’autostrada, con le anime fantasmatiche degli animali piccirilliani.