Se ci penso, dici?
Sì, che ci penso. Troppi se ne sono andati giovani. E io invece da cinque giorni ho cinquantanove anni, pensa!
Una bella fortuna, avercela fatta. A parte la cicatrice e i dolori alla schiena che mi costringono a ripensarci, di quel giorno non parlo volentieri. Ma con te è diverso.
Eh, sì, fu un brutto incidente. Da come mi trattavano tutti, dopo, credo di essere stato una specie di miracolato, ma devo dire che anche tu, da quel settembre, non mi hai guardata più con gli stessi occhi.
No, tranquilla, non era la solita gelosia, era più paura di perdermi. Allora, dopo un po’, vedendo che l’ansia ti mordeva allo stomaco ogni volta che preparavo la sacca da viaggio e ci mettevo dentro le camicie azzurre, decisi di cambiare vita. Mi sarei spostato lo stesso, ma di meno. E non sempre così lontano. Tu eri così felice. E io in pegno ti chiesi un orologio per la collezione, ricordi?
Amore, tu quello sguardo di riconoscenza alla vita o a Dio, non so bene, l’hai avuto sempre, e ancora te lo vedo, impresso sul volto, quando mi sorridi, a letto, distante appena il solco di un cuscino. Mi stringi forte i polsi e mi tieni le mani, anche se ormai gli anni sono passati. Mi dici ti amo nei tuoi silenzi, ogni giorno e ogni notte.
Quante cose ha cambiato quel giorno, e quante ne poteva cambiare, chissà. L’ipocrisia della gente. Ci hai mai pensato? Chissà come mi avrebbero voluto bene, da morto. Avrebbero sicuramente detto che ero il migliore di tutti, il campione della gente, il semplice, il buono. Le cose che si dicono alle persone che in vita non fanno rumore, che non colpiscono l’attenzione. Perchè i morti sono tutti buoni, no?
In tutta una vita sono poche decine le interviste che ricordo. Niente a che vedere con tanti colleghi più richiesti di me, ma andava bene così. E anche da allenatore, i giornalisti non si divertivano granché con parole asciutte, e mai polemiche, negli anni delle vittorie e delle delusioni in panchina a Torino, con la nostra Zebra.
Che scandalo, l’arrivo alla Roma, eh? Eppure gli anni in giallorosso forse sono stati i più belli. E poi certe rivalità ormai sono roba vecchia. Poi le cose belle finiscono, sempre.
E allora la scommessa della Nazionale, il benvenuto da eroe, e i fischi finali, dopo due mondiali tutto sommato onorevoli e quel bel quarto posto dieci anni fa.
Alla vigilia dei cinquant’anni avevo voglia di cercare nuove strade, e anche a te venne voglia di rischiare l’amaranto. Reggio Calabria a volte ancora me la sogno. Il vento sul lungomare era un’emozione forte, persino più del tifo al Granillo.
E poi i tre anni di Bergamo, storia di ieri. E il compleanno di Bearzot a Milano, e noi, i suoi ragazzi, gli Azzurri del Mundial, venticinque anni dopo, tutti insieme. Forse la cosa più bella di questi ultimi anni. Così come la più triste è stata dirgli addio.
Il matrimonio di Riccardo, l’attività in Lega Calcio, e finalmente il sogno di una scuola per dare calcio pulito ai ragazzi.
Per questo quest’anno alleno l’Under 21 e smetto. Ho avuto tanto. E ora che Alex mi ha superato in tutto, vedrai, la gente mi dimenticherà.
Basta così poco per essere ricordato per diventare un mito. Basta morire. Ma ci pensi? Mi sarei perso tutto. Mi sarei perso te.
Se fosse andata diversamente, non avrei mai saputo che sapore ha un esonero, non avrei mai scoperto uno dei miei a vendersi un incontro, non avrei mai dovuto dimettermi da ct. Mi sarei evitato certe carognate della stampa e quelle interviste su Sky fatte in fretta. Ma che discorsi sono…!
Sia come sia, ora posso fare il nonno, mettere su pancia ed invecchiare. E magari aprire con te quella trattoria a Morsasco dove ritrovare gli amici mangiando risotto al tartufo e cantando le nostre vecchie canzoni.
Il suono del cellulare fece svanire tutto. Mariella provò inutilmente a riafferrare almeno in sogno, il suo Gae. Ma non volle negarsi un malinconico sorriso e dirgli comunque grazie, dovunque fosse.