Nella saliva
nella carta
nell’eclisse.
In tutte le linee
in tutti i colori
in tutti i boccali
nel mio petto
fuori, dentro
nel calamaio – nelle difficoltà a scrivere
nello stupore dei miei occhi
nelle ultime lune del sole
(il sole non ha lune) in tutto.
Dire “in tutto” è stupido e magnifico.
DIEGO nelle mie urine – DIEGO nella mia bocca
nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno
nella carta assorbente – nella punta della penna
nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo
nell’immaginazione.
Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti
nei suoi occhi – nella sua bocca
nelle sue menzogne.
Io penso che ci siano persone che nascono con l’arte. Penso che al momento della loro nascita fosse presente una delle muse a far loro da fata madrina, dispensatrice di talento e magia. Penso che ci siano persone che siano capaci di vedere la realtà in modo diverso dal nostro e Frida Kahlo è decisamente una di queste. Che i suoi quadri sprigionano un intensità conturbante lo sappiamo, ma in quanti sanno che le sue poesie sono altrettanto vivide? Altrettanto cariche di vita e intensità e passione e fuoco?
La verità è che sei fortunato se scrivi una poesia del genere per la persona che diventerà poi tuo sposo/a, troppe volte l’eccessivo fuoco finisce in un incendio incontrollabile che distrugge tutto e lascia solo cenere. Frida l’ha sposato poi Diego, accettando una vita di dolore oltre alla passione, accettando bugie e tradimenti, cedendo essa stessa ad una vita che, forse, proprio non voleva. La classica storia d’amore che se l’accetti ti rovina la vita, ma niente puoi dire perché, in fondo, l’hai scelta tu. Niente rimpianti, niente rimorsi. Allora si accetta di avere la persona così, all’interno di se stessi, talmente in profondità da arrivare a perdere i proprio limiti, fino a non conoscerli più, e sentire il sapore dell’altro nella saliva, nella carta, fuori e dentro il petto, nel sole e nella luna; come se ogni cosa risplendesse di un riflesso solo suo. Tutto questo trapela da questi versi. Nei suoi quadri, nelle sue lettere e nelle sue poesie c’è sempre l’eco di quel dolore che l’ha accompagnata una vita intera, in un corpo spezzato da un incidente mortale, che s’è portato via la sua energia piano piano, che lei tentava di imprigionare nei suoi quadri, nelle sue poesie e nel suo amore per Diego, dapprima suo mentore, poi amante e marito, poi dolore, e poi di nuovo marito.
La poesia è contenuta nella raccolta “Lettere appassionate”, dove potete trovare tutte le lettere della pittrice messicana. Io me ne sono innamorata, è la testimonianza di come un corpo martoriato possa essere controllato da una mente forte, di come la passione possa dilagare e soffocare ogni cosa, come possa predominare ed essere presente in ogni forma d’arte, che si faccia reale con una penna o un pennello. Il mio invito è sempre lo stesso: lasciatevi pervadere, lasciate pure che il sangue e la mente si immerga completamente nell’odore di qualcun altro, lasciatevi perdere. Frida tramite il suo amore, per la vita, per l’amore stesso, per l’arte, per il suo paese, è diventata immortale. E la verità è proprio questa: che l’amore ti rende immortale.