Pubblicato il 20 febbraio del 1843, Aut-Aut (Enten-Eller in danese) è uno dei parti più maturi e complessi della tormentata speculazione filosofica di Soren Kierkegaard, padre dell’Esistenzialismo. Opera tra le più congeniali e affascinanti entro uno specifico quadro filosofico fortemente attratto dal dogma cristiano e intento a risolverne l’intricato meccanismo teoretico, il testo sembra essere quello in cui tutto il pensiero del grande pensatore danese raggiunge il suo apice espressivo, concettuale e comunicativo. La contrapposizione di vita estetica e vita etica, il passaggio dall’una all’altra attraverso la disperazione, il grande peso esistenziale della scelta e il definitivo compito, che ognuno ha in quanto individuo, della realizzazione di sé, sono proposti con tale vigore e lucidità che ancora adesso sorprendono il lettore per la loro incredibile attualità.
Aut-Aut è il rapporto esistenziale tra lo stadio estetico e quello etico di ogni singolare individualità esistente. Si tratta quindi di vivere scegliendo tra la vita estetica e quella etica, ma è una scelta che si impone in modo risolutivo e che potrebbe cambiare radicalmente il corso dell’esistenza di ogni essere umano. L’uomo che vive esteticamente, cercando continuamente il piacere e il godimento in ogni attimo della sua esistenza esperito come esperienza, si presta a innumerevoli trasformazioni, altera i suoi sentimenti, scinde la sua personalità in vaghe immagini di sé stesso, trascinato da effimere sensazioni sfianca la sua unità spirituale, frammenta la sua coscienza in figure evanescenti; in questo squilibrio psicologico egli crede di vivere la più splendida e dolce delle esistenze, ma senza impegnarsi mai fino in fondo, ogni sua occasione va in cenere prima che venga accesa, ogni sua possibilità si esaurisce prima che ne assaggi la gioia del compimento. Dall’altro lato una vita etica vuole distogliere l’uomo da tutte queste distrazioni e aprirgli un varco nell’unità della sua personalità che ha come fondamento la religione, il dovere e il sacrificio; l’Etica persuade l’uomo non alla finitezza, ma a una più alta vocazione; l’uomo etico è colui che si convince di essere una creatura finita e peccatrice e che crede ciecamente a un Cristianesimo ancora del tutto umano, né ascetico e né mistificatore della vita, in cui l’io ideale e l’io reale si conciliano e si identificano in colui che vive moralmente, realizzando così l’unità di universale (Dio) e particolare (Uomo).
Il tema dell’opera è dunque quello della personalità umana nella sua coesione morale. L’uomo etico mostra che non si può vivere senza accettare le proprie responsabilità, senza cercare il fine ultimo dell’uomo che è quello dell’esperienza morale, senza sentire l’importanza della scelta che si è fatta perché vivere è scegliere, scandagliare le possibilità e con l’ausilio della riflessione precipitare nel concreto della realtà. Ogni scelta deve essere una scelta etica. Chi ha il coraggio di scegliere vive eticamente, mentre chi vive esteticamente non potrà mai farlo perché vive nell’indifferenza. Ciò che dà valore a un uomo non è la sua cultura, ma il coraggio dietro ad ogni scelta, e quindi la maturità nel saper scegliere.
La scelta è sempre e solo un rapporto intimo e profondo con chi sceglie. La scelta estetica non è una vera scelta perché non vi è impegno, dedizione e sacrificio. L’uomo estetico vive nell’immediato e rimane ciò che immediatamente è; nell’etica l’uomo è un viaggiatore, intraprende un lungo percorso in cui è ciò che diventa. Chi vive esteticamente non può dare alcuna spiegazione alla sua vita in quanto si consuma in quell’attimo; l’uomo etico si eleva sopra quel momento e va incontro alla libertà.
L’esteta è essenzialmente un vanitoso, una personalità che cade facilmente nella malinconia perché la sua vita oscilla tra ebrezza e sazietà, e quando la passione si è conclusa cade nel vuoto e nell’attesa. Ciò che lui teme è la continuità di quella passione, e crede di raggiungere un’impensata grandezza soltanto vivendo, dopo una vibrante attesa, quell’attimo meraviglioso che credeva di aver perso. La caratteristica principale, invece, della vita morale sta tutto in quella continuità, in quella ripetizione incessante di quel momento che non è mai sinonimo di staticità, ma bensì continuo mettersi in gioco con la vita, rinnovarsi con fermezza e convinzione.
Per arrivare a ciò, a tale conversione della personalità, bisogna in ultimo disperare, disperare tremendamente. Una disperazione che richiede serietà, forza e concentrazione. Non ha nulla a che vedere con la malinconia dell’esteta. E’ una disperazione che si fa con tutto il cuore, con tutta l’anima, in modo viscerale. Non si scappa da questa disperazione, ci sei dentro fino al collo, persuaderla affinché ritorni. Chi sceglie la disperazione sceglie sé stesso, non nella propria fugace immediatezza come naturale essere animale, ma nel significato profondo, eterno e non del tutto comprensibile della personalità umana.
Nella vita bisogna saper scegliere, e bisogna avere il coraggio di affrontare il peso di questa disperazione che sta dietro ad ogni scelta.