Non ho mai fatto il bagno nell’oceano, in nessun oceano. Quell’acqua che dicono essere gelata e brillante di un colore tanto intenso che si sarebbe pronti a rinnegare tutto ciò che si sa, che il colore è dato ai flutti dal fatto che vi si specchi il cielo, e consegnarsi innocenti ad una favola, che magari sia davvero un colore proprio di quell’acqua, gelata e dalle tonalità intense. Dicono poi che a Lisbona ci sia sempre il sole, che quando piove invece l’acqua scrosci violenta quasi a schiaffeggiare i passanti e che nell’aria sia sempre rarefatta la malinconia, pronta per essere inalata e correre sottopelle a depositarsi negli occhi e nel cuore dei portoghesi, la cui anima dondola al suono d’un fado.
Romana Petri ha scelto di impossessarsi, ambientare non sarebbe adatto, di quei luoghi per rendere vivi i protagonisti di una saga familiare dal sapore nostalgico, la storia di una terra brutalizzata dalla dittatura, tutto con l’ausilio di una lingua sinuosa mista all’italiano. Titolo del suo romanzo: Ovunque io sia.
Sono tre le donne protagoniste di questa storia lunga e densa, Margarida, Ofelia e Maria do Ceu. Insieme a quelli in carne ed ossa però, altri sono i comprimari: Lisbona, il coraggio, la dittatura, il riscatto, la rassegnazione, la maternità e la paternità, l’illusione ed altri ancora. Gli uomini deludono andando via, oppure deludono rimanendo senza esserci.
Ofelia scelta dal consorte per una virtù che agli occhi dello stesso diverrà in seguito un difetto sufficiente ad abbandonarla, a farne una donna che si nutre solo di dolore, rancore, rimpianti ed antidolorifici, privata dal destino della gioia della maternità riuscirà a provarne una surrogata non riuscirà però mai ad esprimerla.
Margarida non troverà mai il coraggio di abbandonare una speranza che pare essere per lei una condanna peggiore di quella che la vita le riserva, unico sollievo una bambina dagli occhi cosmici, Maria do Ceu, alla quale spiegherà in poche parole semplici il senso dell’eternità, la presenza costante in chi verrà dopo di noi, ovunque possiamo trovarci.
Maria do Ceu, accomunata alle prime dalla sorte, ma capace di sollevare il capo e combattere contro l’umiliazione che il compagno le riserva, madre prima ed oltre i figli, che combatte contro uno scherzo che la natura beffarda le ha fatto già nel grembo.
La voce che introduce tutto è quella d’un uomo, Vasco, figlio dell’ultima di queste donne uniche ed insieme esemplari, che ha avuto la fortuna di nascere oltre la dittatura, quando il Paese pare essersela lasciata alle spalle, con una rivoluzione che ha rovesciato gli equilibri di un sistema fascista tentando di non macchiare la rinascita con il sangue. Vasco forse potrebbe essere la voce del cambiamento, un uomo diverso in una Storia diversa.
Fiumi di parole, una corrente intensa, uno stile avvolgente come un’onda che pare alle volte sopraffare e sommergere, con la commozione, con lo stile delle parole che goccia a goccia sono stillate da una mano delicata, eppure dal tratto fermo, sulla pagina. Talvolta un gorgo pare precipitare il lettore verso il basso, risucchiarlo senza pietà, un movimento diverso dell’acqua giunge invece poi improvviso a restituire una spinta verso l’alto, a bracciate raggiungere la superficie e riconquistare l’aria.
Non c’è l’Oceano, quel mare brillante e freddissimo, c’è un fiume che corre verso quel vasto mare d’acqua, insidioso nella sua apparente calma ma forse molto più affascinante. Lasciatevi catturare, tuffatevi in questa storia sognando di riemergere a Lisbona. Molte bracciate ed un libro che vi rimarrà nell’anima lasciando un ricordo che sarà tutt’altro che freddo.