È il 1988 quando lo scrittore Christoph Ransmayr pubblica il suo romanzo Il mondo estremo ossia un viaggio nella città di Tomi (oggi Costanza) alla ricerca di qualche traccia del celebre Ovidio. Cotta conosce gli scritti ovidiani, ne ha ammirato la fantasia e la capacità del narrare, ha studiato tappa per tappa la sua vita a Roma e il suo esilio, inflitto da Augusto, sul Mar Nero, a Tomi appunto.
Un uragano era uno stormo di uccelli alto nella notte; uno stormo bianco, che si avvicina frusciante e d’improvviso si abbreviava nella cresta di un’onda immane, ormai a ridosso della nave. Un uragano, erano le grida e i singhiozzi nel buio sottocoperta e l’acre odore del vomito. Era un cane, reso folle dai cavalloni, che dilaniò i tendini di un marinaio. Sopra la ferita si rimarginò la spuma. Un uragano, era il viaggio verso Tomi.
Dopo un viaggio di diciassette giorni sulla nave, Cotta arriva a Tomi, dove incontra un vecchio squilibrato, Pitagora, il servitore di Ovidio. Del poeta però nessuna traccia. Come può dunque essere certo che l’autore delle “Metamorfosi” e degli “Amores” sia vissuto realmente lì, nell’ultima parte della sua vita? Nonostante l’assenza di Ovidio, questo mondo è pieno dei personaggi che popolavano le pagine dei suoi scritti; Cotta vive il duro inverno nella città rugginosa sul Ponte Eusino: è un mondo estremo, dove realtà e fantasia si intrecciano, i personaggi ovidiani prendono forma come se fossero persone e Cotta incontrerà tra l’altro Eco, cominciando con lei una relazione. Si perde la dimensione di mito per entrare completamente in quella della quotidianità, stravolta e allucinata certo, ma pur sempre reale. Eco, una delle protagoniste del terzo libro delle Metamorfosi, innamorata di Narciso, consumata fino a diventare pura voce, darà al viaggiatore curioso importanti informazioni su Publio Ovidio Nasone. Secondo Eco, Ovidio riusciva a leggere le storie nel fuoco morente, storie che terminavano tutte con delle trasformazioni in pietra dei protagonisti; Cotta decide dunque di raccoglierle, seguendo il fil rouge della metamorfosi.
Sarà lo stesso Cotta ad essere soggetto di cambiamenti e perdita di identità seguendo il destino degli abitanti del mondo estremo.
Metamorfosi dunque, al centro del libro: metamorfosi come punizione, come via di scampo, come alternativa; al di là di qualsiasi moralizzazione del poeta romano elegiaco. Una gara quella che Ransmayr comincia col suo maestro, dove la componente del moderno rende più crudi e raccapriccianti i destini, più vive le descrizioni, più vicine al lettore, seppure allucinate e a tratti esasperate. Indicativo il modo di narrare la conosciutissima storia di Ceice e Alcione: Ransmayr è stato un attento lettore, ha assorbito la lezione ovidiana, metabolizzato il pathos e ha creato qualcosa di nuovo, soffermandosi sulle trasformazioni in uccelli marini dei due amanti, laddove Ovidio si era fermato al suicidio d’amore.
Christoph Ransmayr ha dunque il merito di essere stato in grado di riprendere la materia di Ovidio senza cadere in pedisseque imitazioni: la sua autenticità sta proprio nella modernità con la quale ha affrontato il mondo delle metamorfosi, trasformando le metamorfosi stesse.